Omaggio ad Alfredo Castelli ed alla ‘Cultura Alternativa’
«Mio padre stavo facendo degli scavi in America Centrale, nell’Honduras Britannico (l’attuale Belize). Scoprimmo le rovine di una città Maya, che, secondo lui. avevano qualcosa a che vedere con Atlantide, per cui continuammo a scovare per sette anni.
Poi, un giorno, tra le pietre, vidi qualcosa che scintillava. Era il mio diciassettesimo compleanno, e le cosa mi riempì di gioia».
A parlare è una serafica vecchia signora che sembra uscita pari pari dai romanzi di Agatha Christie. Si chiama Anna Mitchell-Hedges, ed è la figlia adottiva di F.A. “Mike” Mitchell-Hedges, un personoggio molto popolare durante gli anni ’20. Avventuriero inglese ambizioso e intelligente, Mike Mitchell-Hedges si spostò per anni tra le due Americhe, esercitando i più disparati mestieri (dal cow-boy al giocatore professionista, al rivoluzionario sotto Pancho Villa, all’archeologo) e frequentando indifferentemente il mondo dei miliardari e quello dei soldati di ventura. La cosa “che scintillavo”, lo straordinario regalo di compleanno che riempì di gioia la giovane signorina Mitchell-Hedges è uno degli oggetti più misteriosi mai rinvenuti durante uno scavo archeologico: il “Teschio del Destino”, un cranio a grandezza naturale scolpito in un unico, immenso blocco di purissimo cristallo di rocca, lavorato con incredibile perizia e precisione.
Cosi l’ora settantotreenne signora Mitchell-Hedges ha descritto il ritrovamento del teschio in un’intervista per la trasmissione televisiva inglese Il misterioso mondo di Arthur C. Clarke (messa in onda anche dalla RAI all’inizio del 1982). Un racconto sbrigativo, quasi fiabesco. È dal lontano 1927, infatti, quando il teschio venne alla luce a Lubantuun, che Mike e Anna Mitchell-Hedges rifiutano di fomire qualsiosi altro particolore sul rinvenimento. In una sua voluminosa biografia (Danger My Ally, titolo italiano Tesori nascosti e Mostri marini, Baldini & Castoldi) l’enigmatico avventuriero dedicò al prezioso manufatto solo poche righe. «Portammo con noi (in un viaggio in Africa) anche il “Teschio del Destino” di cui tanto si è parlato. Ho buone ragioni per non rivelare come ne sono venuto in possesso». Seguiva una breve descrizione che insieme a questa frase venne “tagliata” nelle successive edizioni del libro. Perché? Alcuni hanno pensato a una complessa storia di contrabbando, a un leschio sistemato a bella posta tra le rovine, in modo di essere “ritrovato” al momento opportuno.
Perché tanto interesse sui particolari del ritrovamento del “Teschio del Destino”?
Perché nessun ricercatore è in grado di affermore con sicurezza quando e da quale civiltò esso sia stato fabbricato.
Secondo le poche notizie riportate dal già citato diario di Mitchell-Hedges padre, il teschio aveva 3600 anni, e veniva utilizzato dai Grandi Sacerdoti Maya per celebrore particolari riti magici. Ma l’origine “ufficiale” del popolo Maya è stimata attorno al 290 d.C. (anche se olcuni archeologi ritengono che sia molto precedente) e questa affermazione è dunque ritenuta improbabile.
Gli esperti del British Museum fanno risalire il teschio alla civiltà Azteca, datandone l’origine (con moltissimi dubbi) intorno al 1300/1400 d.C. Ma cosa ci faceva un manufatto Azteco in una città Maya dislocata molte centinaia di chilometri più a Sud? Non si sa neppure con quali strumenti il teschio fu costruito: è stato rilevata soltanto la probabile traccia di un acuminalo scalpello. In tal caso, per costruirlo, sarebbero stoti necessari almeno 150 anni di lavoro ininterrotto!
Ma, a complicare questo già complicato mistero, esposto al Museum of Mankind di Barrington Gardens, a Londra, si trova un teschio “gemello”, identico a quello di cui abbiamo parlato fino ad ora salvo che in un particolore. Il teschio dei Mitchell-Hedges, infatti, ha la mascella articolata, come in un cranio vero; quello esposto al Museo ha lo mascella fissa. I ricercatori sono concordi neIl’affermore che i due oggetti sono stati fabbricati dalle stesse “mani”: il cranio di Londra potrebbe dunque fornire quei lumi sulla loro comune origine che la caparbia signora MitcheH-Hedges si ostina a negare. Potrebbe… Solo che anche di questo secondo, prezioso oggetto si conosce poco o nulla. Il Museum of Mankind lo acquistò da Tiffany’s, il celebre gioielliere di New York, nel 1898, per lo somma di 120 sterline. I dirigenti di Tiffany’s non furono in grado (o non vollero) dare spiegazioni sulla sua provenienza. Corse voce che facesse parte del bottino ammassato in Messico da uno sconosciuto mercenario, in un’epoca imprecisata.
Neppure un terzo teschio di cristallo. esposto al Musée de l’Homme di Parigi, identico nello stile agli altri due ma di dimensioni ridotte, può fomire informazioni particolarmente interessanti. Gli esperti del Museo affermano che faceva parte di uno “scettro magico” Azteco del XIII o XIV secolo d.C., e che veniva usato per tenere lontani i serpenti e per prevedere il futuro.
Si dice che gli inservienti del Museum of Mankind abbiano chiesto all’amministrazione di coprire con un panno nero il “loro” Teschio “of Doom” per non vederselo d ‘intorno mentre fanno le pulizie. “Doom” è una parola inglese che viene comunemente tradotta con “destino”, in mancanza di termini più appropriati. In realtà significa davvero “destino”, ma in un’accezione malvagia, negativa, sinistra. È chiaro che una testa di morto, per di più scintillante al minimo raggio di luce, non ha certo un aspetto “allegro” e può incutere un superstizioso terrore a chi vi lavora accanto, magari da solo e di notte. Ma, a rincarare la dose, circolono racconti tenebrosi. C’è chi afferma di aver visto paurose immagini materializzarsi all’interno dei teschi; chi assicura di averli sentiti gridare; chi ha perso la ragione “dopo aver fissato le loro orbite ipnotiche e vuote”.
Mitchell-Hedges asserì che, quando il teschio venne ritrovato, i lavoranti indigeni si inchinarono ad adorarlo, spiegando che esso era un loro dio, e poteva indifferentemente guarire da ogni mole o causare una morte spaventosa.
Verità o leggenda? Suggestioni originate dal macabro aspetto delle sculture e dal mistero che circonda le loro origini? Oppure i teschi fanno davvero parte di queII’inquietante categoria di “oggetti maledetti” di cui pullulano le cronache di storia “minore” del mondo?
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