Gardenio Granata, Pirandello anticipatore del nostro “male di vivere”
Quando Pirandello decise di dare un titolo alla sua produzione teatrale gli venne in mente Seneca (era tra le sue letture preferite) e finì col chiamarlo ossimoricamente Maschere nude… a voler indicare una serie di esseri umani “disaiutati”, soli di fronte alla pena di una vita assurda e guasta. Immersi in una solitudine profonda, non vogliono traspaia quello che avvertono dentro, vale a dire un vuoto incolmabile!
I loro rapporti umani sono nauseanti per l’eccesso di falsità che li inchioda a ruoli obsoleti, al giudizio degli altri!!! Allora la maschera si scioglie mostrando enigmatici atteggiamenti che li collocano in un deserto senza costrutto, in dialoghi apparentemente intessuti di una comunicazione depistante! Ogni personaggio pirandelliano, di fatto, è alla ricerca di un rimedio alla sua miseria esistenziale, ma un simile rimedio non è mai qualcosa di positivo o costruttivo: o è l’annullamento psichico dell’uomo stesso come individuo o, addirittura, è la pazzia che si esplica nella violenza oppure nella scoperta di una dimensione di vita artificiale.
Comunque, tutti i personaggi – e il nostro sa che in latino il termine “persona” [dall’etrusco “phersu”] significa “maschera” – sono dei “vinti”: sconfitti da una vita che risulta sempre a loro estranea e ostile, anche se non smettono mai di interrogarsi e combattere per trovare una loro identità e un posto nella società che non li comprende (anzi li “tortura” giudicandoli a tutti i livelli) ed è la prima ad emarginarli. Per questo, sia negli ambienti borghesi vuoi in quelli popolari, si aggirano uomini e donne perennemente affannati, costantemente alla ricerca di qualche mezzo per tentare di migliorare o affermare la loro periclitante posizione sociale e sempre ricacciati indietro da un destino crudele.
Così tutti i personaggi pirandelliani, differenti per estrazione sociale o culturale, sono accomunati da un’identica condanna di sconfitta nei confronti dell’esistenza: ogni loro ribellione risulta vana e ogni volta che, consapevolmente o meno, si sforzano di uscire dalla dimensione in cui sono stati relegati dalla vita, subiscono una totale disintegrazione della loro personalità e della loro volontà che li conduce, appunto, alla sconfitta completa.
L’uomo pirandelliano si ritrova, perciò, sprofondato in una solitudine senza confini: scartato dal mondo e dai suoi simili con i quali non sa comunicare, sopraffatto da vicende che non è in grado di dominare e annientato nella sua personalità, rimane solo e soffre sino alla morte, in qualunque modo e a qualunque età muoia. Pirandello vede l’uomo immerso in un mare senza orizzonti, incapace di costruirsi una rotta e di comunicare la sua angoscia a chi gli sta attorno. Il Dio invocato dagli uomini del suo tempo altro non è, secondo lui, che oscurità completa e così l’individuo rimane avvolto nel buio di un mistero senza Dio, privo di direttive, perennemente in crisi e per di più impossibilitato a comunicare e ad agire.
Vale la pena di riportare un passo tratto dai “Saggi”, in cui improvvisa irrompe nella banalità dell’esistenza l’intuizione dolorosa della nostra falsità, inutilità e infelicità, quando percepiamo un’altra dimensione possibile del nostro destino fuori delle figura sociale in cui consistiamo; questi momenti di illuminazione lacerante caratterizzano la «pena di vivere così» dei grandi personaggi pirandelliani, in tal senso distinti dagli “inetti” ( sebbene a loro fratelli) di tanta letteratura novecentesca:
«In certi momenti di silenzio interiore, in cui l’anima nostra si spoglia di tutte le finzioni abituali, e gli occhi nostri diventano più acuti e più penetranti, noi vediamo noi stessi nella vita, e in se stessa la vita, quasi in una nudità arida, inquietante; ci sentiamo assaltare da una strana impressione, come se, in un baleno, ci si chiarisse una realtà diversa da quella che normalmente percepiamo, una realtà vivente oltre la vista umana, fuori dalle forme dell’umana ragione. Lucidissimamente allora la compagine dell’esistenza quotidiana, quasi sospesa nel vuoto di quel nostro silenzio interiore, ci appare priva di senso, priva di scopo».
Prof. Gardenio Granata
29 Novembre 2021
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