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Omaggio ad Alfredo Castelli ed alla ‘Cultura Alternativa’

In una teca un po’ appartata del Museo Nazionale di Atene si trova un curioso oggetto che, a prima vista, assomiglia a un blocco di ruggine. Osservandolo meglio ecco che si vedono emergere dalle incrostazioni i denti di alcuni ingronaggi. Sono in bronzo, e costruiti con incredibile precisione; si direbbe che appartengano a un moderno orologio abbandonato nell’acquo marina per molti anni.

Come mai il Museo di Atene riserva uno spazio a un orologio corroso dalla salsedine? Perché di un orologio non si tratta affatto. Il Meccanismo di Antikythera (così è laconicamente battezzato sulla targhetta della teca) fu rinvenuto, infatti, nel 1900, in una nave affondata intorno all’80 a.C. al largo dell’isola di Antikythera (tra Creta e la terraferma). Il meccanismo venne portato al Museo di Atene insieme ad altri reperti; solo due anni dopo l’archeologo Valerio Strais si accorse che si trattava di un sofisticato apparecchio, composto da almeno trenta ingranaggi ricoperti da iscrizioni in greco.
Il Meccanismo di Antikyhtera è stato studiato a lungo all’università di Yale e finalmente ricostruito. Si tratta di uno sorta di computer astronomico in grado di determinore le relazioni tra il Sole, la luna, la Terro e le stelle. Probabilmente era contenuto in una scatola, dal cui esterno era possibile manovrare gli ingranaggi per mezzo di manopole.

Il “mistero” consiste nel fatto che, nell’SO a.C., simili apparecchi “non avrebbero dovuto esistere”: gli studiosi di cose antiche concordano infatti nell’affermare che in quel tempo la tecnologia non era in grado di produrre apparecchiature di tale precisione. Del resto non ne avrebbe prodotte per altri sedici secoli: nel meccanismo si trova infatti un ingranaggio differenziale, inventato (o reinventato) soltanto verso lo fine del ‘500.

L’esistenza di oggetti “fuori dal loro tempo” come il meccanismo di Antikythera, le Carte di Piri Re’is o la Pila di Baghdad (vedere alle voci corrispondenti) stimolano alcune considerazioni. O si ammette l’esistenza di conoscenze “dimenticate” per qualche ragione ignota e poi riemerse (il che imporrebbe una “riscrittura” dello storia dell’umanità su basi molto diverse da quelle comunemente accettate) o si deve riconoscere un altissimo grado di fallibilità da parle dei cosiddetti “accademici”. Il meccanismo di Antikythera non può essere il parto di un inventore solitario e ingegnoso (vi sono coinvolte troppe diverse conoscenze); di conseguenza la civiltà greca doveva essere, al contrario di ciò che si è sempre affermato. tecnologicamente evolutissima. Ma ammettere questo significa ammettere la possibilità almeno teorica di altri errori, il che, al solito, imporrebbe, se non proprio una riscrittura, una “revisione” radicale della storia dell’umanità. Tutto ciò potrebbe sconvolgere alcuni capisaldi su cui molti studiosi basano il loro prestigio; sicché è facile comprendere perché la notizia di scoperte di questo genere viene di solito relegata tra le curiosità prive di importanza e la Grecia dell’8O a.C. continua ad essere un paese di efebi e di pastori.


Nel 1936 William Koenig, archeologo dilettante tedesco residente in Iraq, si imbatté in un oggetto che suscitò la sua curiosità. Era stato trovato tra le rovine di Khujut Rabu, un villaggjo alla periferio di Baghdad distrutto circa 2000 anni fa, e presentavo sconcertanti somiglianze con una batteria elettrochimica. Venuto a conoscenza della scoperta, Willard F. M. Gray, ingegnere americano, ne costruì una replica esatta sostituendo gli elementi che il tempo avevo consumato. L’apparecchio funzionò regolarmente. Secondo Koenig gli antichi artigiani della zona utilizzavano strumenti come questa per placcare in oro statuette ed altri monili, anticipando di diversi secoli i moderni processi elettrolitici. Una pila vecchia di duemila anni o un oggetto che, per pura combinazione, le poteva assomigliore?
Lo stesso Koenig, correttamente, ammise che la “pila” era possata per molte mani prima di entrare in suo possesso, e che, in teoria, qualcuno avrebbe potuto trasformare un antico contenitore in una batteria in tempi più recenti. In ogni caso c’è da chiedersi quanti oggetti dall’uso misterioso come la Pila di Baghdad siano venuti alla luce nel corso dei secoli per poi essere, magari, venduti a peso da merconti ignari della loro importanza (lo scopritore dei famosi “Manoscritti del Mar Morto” li usò per molto tempo come imbottitura per la sella del suo cammello).

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