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Karl Schmitt

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Il ‘Decisionismo’ di Karl Schmitt

Le teorie giuridiche e politiche di Karl Schmitt (Plettenberg, 11 luglio 1888 – 7 aprile 1985) prendono avvio dalla riflessione che il filosofo fece attorno al tema della Sovranità.

Per poter definire questa categoria basilare della diritto Schmitt analizzò le situazioni emergenziali della vita di uno stato, convinto che in esse fosse più facile cogliere l’essenza della sovranità, piuttosto che nei periodi di normalità. In questi la quotidianità permette l’esprimersi delle regole generali, imbevute di banale ovvietà, mentre nei casi eccezionali le norme comuni non riescono ad esprimersi e quindi si richiede l’invenzione di nuove regole.

Karl SchmittIl diritto conseguentemente verrebbe a fondarsi sull’eccezione, sulle irregolarità piuttosto che sui principi generali. Ora nel testo Teologia politica del 1922, Schmitt individuò nei conflitti tra partiti che perseguono solo apparentemente il bene comune – mentre in realtà inseguono il soddisfacimento di interessi singolari – i casi di eccezionalità della vita politica di uno stato.

In tale situazione il filosofo definì come sovrano chi riesce a decidere nel momento in cui lo stato di eccezione si manifesta. La sovranità si basa sulla decisione. In questa teoria giuridica, poi chiamata decisionismo, il potere non si fonda su una rete di regole a cui tutti devono attenersi, bensì sulla decisione di un soggetto, che manifesta la forza di decidere sulle situazioni di emergenza.

Non importa se questo soggetto sia il popolo, un primo ministro, un monarca l’elemento decisivo sta nella personalità forte di questo soggetto, che impone una data volontà, ovvero una decisione che crea le nuove norme. Lo stato viene a risolversi nel concetto di una organizzazione del popolo su di un territorio ben delimitato, ed esso è sempre posto in secondo piano rispetto alla politica ed al potere decisionale del sovrano. Ma se la politica ha un primato sullo stato, allora ci si deve chiedere che cosa sia questa politica, e come possa essere inquadrata in questi orizzonti teorici. Schmitt ne Il concetto di “politico” (1927) sostiene la necessità di chiarificare in modo autonomo l’essenza della natura politica, evitando contaminazioni da altri campi.

Se l’etica si basa sulla distinzione tra buono e cattivo e l’estetica su quella tra bello e brutto, non si potrà cercare in questi contesti la definizione della politica, ma altrove. L’unica strada percorribile fu per il filosofo quella di indicare l’agire politico in una contrapposizione di raggruppamenti di amici e nemici. Questa riflessione non vuole portare a risultati esaustivi, ma solamente a individuare una essenza autonoma della politica.

In tal modo non importa se il nemico sia bello o brutto, buono o cattivo, le sfere etiche ed estetiche sono escluse, il nemico è l’altro, colui che va combattuto e contrastato. Vari individui si aggregano tra loro come gruppi di amici e contrastano altri aggregati umani, i loro nemici.

La dicotomia ha valore solo nella sfera pubblica, mai in quella privata (in latino il nemico, Feind nei testi originali redatti in tedesco, va a corrispondere al termine hostis, il nemico pubblico e non nell’inimicus, il nemico del singolo privato). I gruppi di amici collaborano al loro interno al doppio fine di sostenersi a vicenda e di contrastare i gruppi avversi. La politica diventa conflitto tra avversari ed in casi estremi è perfino possibile affrontare in guerra i nemici. La guerra è la situazione limite, nel quale il carattere conflittuale della politica passa a manifestazioni fisiche

Con questo Schmitt non vuole definire necessaria, ma possibile la guerra in politica. Lo scopo della politica è la vittoria sul nemico, che può perfino risolversi nella sua eliminazione fisica, nei casi in cui il conflitto raggiunge livelli eccezionali. La conclusione a cui giunge il filosofo è che la guerra non è desiderabile, ma sempre possibile e che nel caso di scomparsa della contrapposizione tra amici e nemici, la politica morirebbe.

Schmitt fu un grande critico sia del liberalismo che del parlamentarismo liberale. Al primo imputò la colpa di aver sostenuto e garantito le libertà individuali, frazionando così sia il carattere monolitico dello stato, che quello dicotomico della politica.

Il ruolo del potere sovrano che è detentore delle decisione che fondano le norme giuridiche viene messo a rischio dalle singole individualità, così come la compattezza dei raggruppamenti di nemici/amici viene indebolita. In tal modo la natura conflittuale della politica viene svilita e lo stato si indebolisce.

Il naturale conflitto tra amici e nemici viene trasmutato dal liberalismo nella concorrenza economica e la discussione diviene il fulcro dei conflitti, ritardando ed a volte impedendo la presa delle decisioni più importanti. Contro il parlamentarismo il pensatore sostenne che la pluralità delle forze partitiche fosse causa di una mancata unità politica. La soluzione proposta per raggiungere una omogeneità politica ed una grande saldezza statale è quella della nascita di una stato-totale.

Esso deve basarsi su di un Presidente della Repubblica, eletto dal popolo ed in grado di costituire una decretazione d’urgenza che dovrà strutturare il nuovo apparato normativo. In tal modo il rischio del disordine, delle incertezze, dei conflitti senza soluzione verranno superati e il decisionismo del potere sovrano potrà perseguire il bene comune.

Il pensiero dell’autore deve essere considerato nel momento in cui venne espresso, corrispondentemente ad una profonda crisi dei sistemi democratici, alla nascita delle prime società di massa ed alla costituzione dei totalitarismi (Schmitt sostenne per diversi anni il Nazismo).

Il Palazzo del Reichstag (sede del Parlamento Tedesco)

«Il sovrano ha il monopolio della decisione ultima. In ciò sta l’essenza della sovranità statale (…) che non deve essere definita giuridicamente come monopolio della sanzione o del potere, ma come monopolio della decisione. (..) La decisione si distingue dalla norma giuridica, e ( per formulare un paradosso ) l’autorità dimostra di non aver bisogno del diritto per creare diritto.»
     [da
Teologia politica]
«Si può raggiungere una definizione concettuale del “politico” solo mediante la scoperta e la fissazione delle categorie specificatamente politiche. (…) La specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di amico (Freund) e nemico (Feind). Essa offre una distinzione concettuale, cioè un criterio, non una definizione esaustiva o una spiegazione del contenuto. (…) Il significato della distinzione di amico e nemico è di indicare l’estremo grado di associazione o di dissociazione; essa può sussistere teoricamente e praticamente senza che, nello stesso tempo, debbano venir impiegate tutte le altredistinzioni morali, estetiche, economiche o di altro tipo.»
     [da Le Categorie del politico]

 

Vita

Schmitt nasce in una numerosa e modesta famiglia cattolica nella Westfalia prussiana e protestante. Laureatosi nel 1910 e ottenuto nel 1915 il dottorato in diritto all’Università di Strasburgo e nel 1916 la libera docenza, pubblicò nel 1921 Die Diktatur (La dittatura, sulla costituzione della Repubblica di Weimar), nel 1922 Politische Theologie (Teologia politica, ostile alla filosofia del diritto di Hans Kelsen), nel 1923 Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus (La situazione storico-intellettuale del parlamentarismo odierno, sull’incompatibilità fra liberalismo e democrazia di massa) e nel 1926 Der Begriff des Politischen (Il concetto di politico, sul rapporto amico/nemico come criterio costitutivo della dimensione del ‘politico’).
Dopo aver insegnato in varie università tedesche, divenne professore all’Università di Berlino nel 1933, qualifica che sarebbe stato costretto ad abbandonare nel 1945, alla fine della II Guerra Mondiale. Aveva aderito al Partito Nazista il 1º maggio 1933, e a novembre dello stesso anno era divenuto presidente della Vereinigung der nationalsozialistischen Juristen (Unione dei giuristi nazionalsocialisti); nel giugno 1934 divenne direttore della Deutsche Juristen-Zeitung (Rivista dei giuristi tedeschi).
Nel dicembre 1936 fu tuttavia accusato di opportunismo sulla rivista delle SS e dovette rinunciare a giocare un ruolo da protagonista nel regime. Catturato dalle truppe americane alla fine della guerra, rischiò di essere imputato al processo di Norimberga, ma fu rilasciato nel 1946 e tornò a vivere nella cittadina natale, dove continuò a lavorare privatamente e a pubblicare nel campo del diritto internazionale.

 

Opere

I principi politici del Nazional Socialismo (con saggio introduttivo di Delio Cantimori), Sansoni, 1936
Le Categorie del «Politico», Il Mulino, 1998
Ex Captivitate Salus. Esperienze degli anni 1945-47, Adelphi, 1987
Teoria del partigiano. Integrazione al concetto del politico, Adelphi, 2005
Il Nomos della Terra nel Diritto Internazionale dello «Jus publicum europaeum», Adelphi, 1991
Donoso Cortés – Interpretato in una prospettiva paneuropea, Adelphi, 1995
Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, Adelphi, 2002
Dialogo sul potere, Il Nuovo Melangolo, 2006
Risposte a Norimberga, Laterza, 2006
Teologia politica. Vol. 2: La leggenda della liquidazione di ogni teologia politica, Giuffré, 1992
Dottrina della Costituzione, Giuffré, 1984
Amleto o Ecuba. L’irrompere del tempo nel gioco del dramma, il Mulino, 1983
Romanticismo politico, Giuffré, 1981
Democrazia e liberalismo. Referendum e iniziativa popolare Hugo Preuss e la dottrina tedesca dello Stato, Giuffré, 2001
Il concetto discriminatorio della Guerra, Laterza, 2008
La tirannia dei valori, Adelphi 2008 e Morcelliana, 2008
La dittatura, Settimo Sigillo, 2006.

 

Fonti

– Rivista Orfeo, numero 2, Ed. RUA (Rete Universitaria Attiva)
Wikipedia per le note bibliografiche sulle Edizioni]

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