Alla scoperta di un’America nascosta: Mark Twain e Stephen King rimuovono il velo di Maya
Una danza macabra
Ciò che Stephen King intende con l’espressione Danse Macabre ce lo spiega molto bene alla fine dell’omonimo saggio, dopo avere mostrato una carrellata di film e libri che danno un’idea, seppur solo abbozzata data la vastità di materiale tralasciato, di quello che per l’autore rappresenta l’essenza dell’horror nell’immaginario collettivo e di come il genere si sia evoluto nel tempo, con esiti più o meno positivi:
La Danse Macabre è un valzer con la morte. È una verità alla quale non possiamo permetterci di sottrarci. […] la storia dell’orrore è la possibilità di osservare dietro quelle porte che abitualmente teniamo chiuse a doppia mandata. Ma l’immaginazione umana non si contenta delle porte chiuse. Da qualche parte c’è un’altra dama, l’immaginazione sussurra nella notte: una dama in abito da sera marcescente, le orbite vuote, uno strato di muffa verdastra sui guanti lunghi fino al gomito e un brulichio di larve in mezzo ai pochi capelli che le restano.
Stringere una tale creatura fra le braccia? Chi, chiederete voi, sarebbe così folle?9
Ce lo chiediamo in effetti, ma si tratta di una domanda retorica. King ci fornisce già la risposta: siamo noi stessi che desideriamo oltrepassare la soglia per addentrarci in territori sconosciuti, o sarebbe meglio dire dimenticati, poiché altro non sono se non quei Territori verso i quali Huck fugge per sottrarsi alla civiltà, mentre noi ne restiamo esclusi perché abbiamo perso la chiave.
In Shining Stephen King ne ha forgiata una nuova di zecca e ce la porge senza chiedere nulla in cambio, con la sola speranza che
il buon racconto di orrore danzerà fino al centro della tua vita e troverà quella porta della stanza segreta di cui solo tu credevi di conoscere l’esistenza.10
Gli immensi corridoi e le decine di stanze dell’Overlook Hotel sono solo uno dei tanti travestimenti della dama in abito da sera marcescente. In questo caso però non ci sono zattere sulle quali rifugiarsi dalla violenza circostante, perché le porte dell’Overlook si sono richiuse dietro di noi, bloccate da qualche metro di neve e da una forza bramosa di possedere l’oramai onnipresente terzo occhio del malcapitato bambino. Se Mark Twain, pur mostrandoci molto da vicino la violenza e l’orrore nei suoi vari aspetti, offriva sempre una via di fuga, King ci costringe ad affrontarli direttamente. È questo uno degli aspetti che divide più profondamente i due scrittori: da una parte il massiccio uso di humour da parte di Twain, che rende più facili da sopportare molti dei tragici eventi che ci narra, dall’altra la forte carica di suspense che abbonda in King, la quale, in alcuni casi, porta il lettore stesso a dubitare che il piccolo Danny possa salvarsi. Il “tono” dei due romanzi è quindi molto diverso, se ne Le avventure di Huckleberry Finn l’isola si trova poco distante dal villaggio e il fiume accompagna sempre fra le sue anse i due fuggitivi, in Shining non c’è nessuna barriera, reale o metaforica, che separi l’orrore dal vissuto quotidiano.
Una possibilità di salvezza in questo caso è offerta da Dick Hallorann, il cuoco dell’Overlook che anche da adulto possiede lo Shine, ma si trova a chilometri di distanza, e anche quando riuscirà a raggiungere il luogo del male potrà fare ben poco. L’unica possibilità, ancora una volta, risiede dentro di noi, sarà l’amore per il figlio Danny che impedirà a Jack Torrance di commettere una strage. Ed è giusto così, è giusto che in conclusione ci sia sempre un lieto fine, perché il compito del racconto è quello di
esercitare (è giusto, non esorcizzare, ma esercitare) quelle emozioni che la società ci impone di tenere sotto controllo,11
ma l’elemento destabilizzante deve ad un certo punto venire annullato per permettere di poterlo assimilare.
In Danse Macabre Stephen King individua tre archetipi fondamentali del male, che hanno influenzato pesantemente tutta la produzione successiva di opere di questo genere. Essi sono il Vampiro, il Licantropo, la Cosa Senza Nome, rintracciabili rispettivamente nei romanzi Dracula, Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde e Frankenstein.
Ma c’è un quarto archetipo, che King definisce “il Grande Fiume della letteratura del soprannaturale“12 che in questo lavoro acquista grande importanza, ed è il Fantasma, il quale
[…] dei quattro archetipi sin qui trattati […] è il più potente. Per il buon romanzo del soprannaturale il concetto del Fantasma è ciò che rappresenta il Mississippi per il romanzo Huckleberry Finn di Mark Twain: ben più di un simbolo o di un archetipo, è parte del grande mare del mito in cui tutti dobbiamo immergerci.13
Verrebbe quasi voglia di mettere giù la penna e chiudere qui il capitolo, perché cos’altro si potrebbe aggiungere ad una descrizione del genere, tra l’altro così calzante per l’intento da me proposto?
Come rivela questo passaggio e come si vedrà più avanti, Stephen King è debitore a Mark Twain di almeno una parte della sua mitologia, perché se pensiamo che l’immaginazione attinge da una polla magica ricolma di idee (come accade a Scott Landon ne La storia di Lisey), è facile riconoscere in essa un ramo nascosto di un fiume che andrà a sfociare nel grande mare del mito in cui tutti noi ci immergiamo; e quale fiume meglio del Mississippi raccontato da Twain e Huck incarna questa metafora? Intendo dire che è come se Stephen King avesse raccolto una ipotetica eredità lasciata da Twain, il quale nel testamento gli ha lasciato scritto il luogo cui dirigersi per raccontare quali sono i Territori verso i quali Huck fugge (non è un caso, secondo me, che nel romanzo Il Talismano, in cui si parla proprio dei Territori come di una realtà parallela alla nostra, King abbia deciso di chiamare il suo protagonista Jack Sawyer, in evidente omaggio ad un altro famoso personaggio di Twain; o che nei due scritti in esergo compaiano due citazioni tratte proprio da Le avventure di Huckleberry Finn).
Per tornare all’archetipo del Fantasma e concludere la presentazione di Shining, per l’ultima volta ci affidiamo alle parole di King, che senza volerlo fornisce ancora una volta l’aggancio perfetto:
Ora ci sposteremo dai fantasmi all’habitat naturale dei fantasmi: la casa stregata. […] Se si vuole un nome più adatto, potremmo chiamare questo archetipo il Brutto Posto.14
Per come lo si voglia chiamare, l’Overlook Hotel risponderebbe “presente” ad entrambi gli appellativi; e al suo interno di fantasmi ce ne sono davvero parecchi. In questo caso però non si tratta del classico lenzuolo che si sposta facendo sferragliare delle catene, è un tipo più particolare. Come annota giustamente Ciro Ascione nel suo La grande bottega degli orrori,
l’archetipo del fantasma è il più forte e frequente nella storia della fiction sovrannaturale perché meglio si presta alla contaminazione con gli altri.15
Non è difficile riconoscere nelle varie apparizioni dell’hotel esempi degli altri tre archetipi, ad esempio la donna morta annegata nella vasca da bagno della camera 217 ha affinità con il vampiro, dopo che stringe Danny al collo lasciandogli visibili segni; oppure il terribile Direttore dell’albergo, lo spirito che si impossessa di Jack Torrance, ricorda il licantropo, una sorta di parte malvagia dell’uomo.
Sinora si è quindi capito quanto Huckleberry Finn e Shining ricalchino la migliore tradizione letteraria e come attingano a dei temi che sono ormai diventati miti e topoi irrinunciabili. Ma come accennavo, i nostri autori sono molto bravi a nascondere dietro le apparenze argomenti ben diversi e, a volte, ben più scomodi.


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