Alla scoperta di un’America nascosta: Mark Twain e Stephen King rimuovono il velo di Maya
Padri e padroni
Nella sua vita Stephen King ha potuto sempre contare sull’appoggio di sua madre, Nellie Ruth, una donna molto forte che ha sempre fatto di tutto per non fare mancare nulla ai suoi figli. Ma Stephen poté contare solo su sua madre: il padre Donald uscì di casa per prendere il classico pacchetto di sigarette e non fece più ritorno. Stephen non ricorda nulla di lui, quando questo successe aveva solo due anni, ma le ripercussioni di questa mancanza sono state molte, tutte rintracciabili nelle pagine dei suoi numerosi diari intimi, cioè i suoi romanzi. Come già si è detto, Jack Torrance altri non è che un alter ego dello scrittore, abitante di una realtà parallela apparsa più volte negli incubi giovanili di King. Jack decide di dare una svolta alle sue cattive abitudini solo dopo avere rotto un braccio al figlio che rovistava nelle sue carte, essere stato licenziato per avere picchiato a sangue un suo studente che gli aveva bucato le ruote della macchina ed avere investito in pieno una bicicletta sulla quale, sembra, non ci fosse nessuno a bordo. Il suo problema è quello di essere un alcolista e di non riuscire a controllare gli scatti d’ira che lo colpiscono quando non beve. Wendy, sua moglie, gioca lo stesso ruolo che ha avuto Tabitha King per Stephen (benché molto più debole caratterialmente): lei e Danny sono le uniche persone care per Jack, per le quali farebbe tutto, persino passare un intero inverno bloccato fra le montagne del Colorado con la mansione di guardiano di un immenso hotel. Le sue intenzioni sono davvero serie, ma King non riesce a dimenticare quel vuoto che ha dentro, e si rende conto che il destino di Jack Torrance è quello di essere un cattivo padre, che anche quando vorrebbe rendere felice suo figlio, ad esempio regalandogli uno stupendo nido di vespe (oramai morte), riesce solo a fargli del male. Non importa se alla fine, in un ultimo sprazzo di lucidità, l’amore per Danny gli impedisce di ucciderlo. A mio avviso va valutato l’intero percorso che Jack ha con suo figlio, un percorso fatto di pentimenti arrivati troppo tardi e di continue scuse alle quali nessuno dei due crede.
Jack a sua volta odia suo padre, il quale era solito picchiare la moglie, ma alla fine non riesce a fare di meglio che seguire le sue orme.
Il rapporto di Jack con suo padre era stato qualcosa di simile allo sbocciare di un fiore di potenziale bellezza che però, una volta sbocciato, si era rivelato affetto da una malattia misteriosa e occulta. Fino ai sette anni aveva amato senza remore quell’omone alto e panciuto nonostante le sculacciate, i lividi e i saltuari occhi neri. […] L’amore aveva cominciato a inacidirsi a nove anni, quando suo padre, a forza di bastonate, aveva spedito sua madre all’ospedale.26
Ora Jack chiama suo padre “l’irrazionale dio-fantasma bianco”27.
Una volta giunto all’Overlook, il male presente nell’albergo non fa altro che acutizzare tutto questo, rigettandolo in un baratro buio dal quale non era mai veramente uscito. C’è un punto, in Shining, in cui egli si rende conto di ciò che sta accadendo:
In quell’attimo, mentre se ne stava lì accovacciato, ogni cosa gli apparve chiara. Non era solo su Danny che l’Overlook agiva in maniera nefasta. Agiva anche su di lui. Non era Danny l’anello più debole della catena: era lui. Era lui quello vulnerabile, quello che avrebbe potuto essere piegato e distorto fino a quando qualcosa si sarebbe rotto. […] Levò lo sguardo alle schiere di finestre; il sole traeva un barbaglio quasi accecante dalle loro superfici di vetro, ma lui guardò egualmente. Per la prima volta notò che sembravano altrettanti occhi: riflettevano il sole e trattenevano all’interno il loro buio. Non era Danny che guardavano: era lui. In quei pochi secondi comprese ogni cosa.28
Il suo corpo e la sua mente sono meri strumenti di cui le forze dell’albergo si stanno servendo per arrivare al vero obiettivo, l’enorme potere mentale di Danny. La mente di Jack viene sottomessa in fretta con false lusinghe (come l’apparizione delle bottiglie di alcool), ricavandone anche un effimero e breve beneficio, il terzo occhio dei bambini:
Attorno a sé udiva l’Overlook Hotel rianimarsi. Era difficile dire come facesse a saperlo, ma supponeva che non differisse granché dalle percezioni che aveva Danny di tanto in tanto… tale il padre, tale il figlio. Non diceva così l’adagio popolare? Non si trattava di una percezione visiva o acustica, benché fosse molto simile a una cosa del genere, separata dalla vista e dall’udito dal più impalpabile degli schermi percettivi. Era come se un altro Overlook ora si nascondesse sotto quello visibile, separato dal mondo reale. […] Si ricordò dei film in 3-D che aveva visto da ragazzino. Se si guardava lo schermo senza infilarsi certi occhiali speciali, si vedeva un’immagine doppia: più o meno era la sensazione che provava adesso. Ma se s’infilavano gli occhiali, tutto tornava a posto.29
Così come Jack Torrance compie un unico gesto di vero amore nei confronti del figlio, anche il padre dello stesso King, seppure indirettamente, influì in modo decisivo sulla vita di Stephen. In Danse Macabre ci racconta che dopo l’abbandono del padre lui e suo fratello non videro molto spesso loro madre per nove anni, durante i quali essa si dedicò a innumerevoli lavoretti per tirare avanti. A quell’epoca, la famiglia viveva a Durham, nel Maine, a pochi chilometri dalla casa degli zii. È nella soffitta di questa casa che Stephen King fa una straordinaria scoperta:
Per me, in un freddo giorno di autunno del 1959 o 1960, la soffitta sopra il garage dei miei zii diventò il posto in cui la mia interiore bacchetta da rabdomante si svegliava, dove l’ago della bussola si dirigeva empaticamente verso un nord mentale. Fu il giorno in cui trovai una scatola di libri di mio padre. […] La scatola che trovai quel giorno era un vero tesoro, piena di vecchi tascabili Avon. La Avon, in quel periodo, era una casa editrice che si dedicava alla Fantasy e alla letteratura “strana”. […] Il vero tesoro, tuttavia, era una collezione di racconti di H. P. Lovecraft del 1947, chiamata The Lurking Fear and Other Stories. Ricordo molto bene l’illustrazione sulla copertina: un cimitero (si presume vicino a Providence) di notte, e una disgustosa cosa verde con lunghi artigli e ardenti occhi rossi che sorge da una tomba. Dietro di essa, appena suggerito, un tunnel che portava nei visceri della Terra. […] Così quel libro, grazie a mio padre, fu il mio primo assaggio di un mondo che si spingeva più in là dei film di serie B che davano il sabato pomeriggio al cinema o la narrativa per ragazzi di Carl Carmer o Roy Rockwell.30
Da come King parla di suo padre, in questo come in altri passaggi, non si percepisce certo odio o risentimento, come non lo si percepisce in Danny. C’è però una forte curiosità e attrazione verso una figura (assente nel caso di Stephen, imprevedibile nel caso di Danny) che malgrado tutto ha influenzato la vita del figlio e che, come si è visto, ha serbato qualche inaspettata sorpresa.
Seppure il suo ruolo sia decisamente meno centrale nel racconto, anche il padre di Huck potrebbe essere definito un irrazionale dio-fantasma: irrazionale nei suoi ragionamenti, spesso dettati dall’alcool, come il famoso discorso sul governo, coerente nella sua irrazionalità:
Call this a govment! why, just look at it and see what it’s like. Here’s the law a-standing ready to take a man’s son away from him – a man’s own son, which he has had all the trouble and all the anxiety and all the expense of raising. Yes, just as that man has got that son raised at last, and ready to go to work and begin to do suthin’ for him and give him a rest, the law up and goes for him. And they call that govment! That ain’t all, nuther. The law backs that old Judge Thatcher up and helps him to keep me out o’ my property. […] A man can’t get his rights in a govment like this. Sometimes I’ve a mighty notion to just leave the country for good and all. […] Says I, for two cents I’d leave the blamed country and never come anear it agin. Them’s the very words.31
Dio-fantasma perché, pur non essendo quasi mai presente nella vita del figlio, per Huck è una figura onnipotente che incombe nella sua quotidianità, è uno dei pensieri fissi che lo accompagna anche una volta fuggito dal villaggio. A differenza di Jack Torrance, la figura paterna qui delineata non ha proprio nulla di positivo. È vero che nel breve periodo in cui Huck vive con lui nella capanna vicino al fiume si sente più libero, ma solo perché l’alternativa è quella di essere civilizzato dalla vedova Douglas o fare parte della banda di Tom Sawyer, due ambienti in cui vigono sempre e comunque delle regole. Non è certo per affetto verso il padre che resta con lui, tant’è vero che non passerà molto tempo che Huck fuggirà anche da questa situazione. E nel momento in cui, nascosto nel bosco, vede passare un battello sul fiume, con a bordo gente, tra cui suo padre, alla ricerca del suo corpo esanime, non viene forse l’idea che quel padre, che sembra così preoccupato e addolorato per la sorte del figlio, non sia invece più ansioso di localizzare il suo cadavere per mettere le mani sui seimila dollari che possiede?
Infine, quando Huck scopre che il padre è morto, che quel cadavere scoperto sulla casa galleggiante sul Mississippi è proprio quello del dio-fantasma, ha forse qualche reazione forte nell’apprendere la notizia? No, anzi non ha proprio alcuna reazione, quasi a volere, questa volta sì, esorcizzare la figura più terribile e terrorizzante della sua vita.
È interessante notare come da questi confronti emergano affinità meta e intraletterarie tra le vite di Mark Twain, Stephen King e dei due personaggi dei loro romanzi. Il grande mare della letteratura crea di questi intrecci, così che ad esempio le stesse esperienze vissute da Huckleberry Finn trovano corrispondenze nel vissuto di Danny Torrance e Stephen King. Quest’ultimo non è estraneo a esperimenti di questo tipo, tanto che nella sua opera maggiore, il ciclo della Torre Nera, compare egli stesso nelle vesti di personaggio della vicenda, nell’atto di scrivere proprio la storia che sta narrando. Non mi stupirebbe se durante la stesura di Shining il nostro autore, oltre alle vicende personali, avesse ben presenti nella mente le peripezie di Huckleberry Finn.


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