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Gardenio Granata, Edgar Allan Poe (Boston, 1809 – Baltimora, 1849): Viaggiare a luci spente nei sotterranei dell’animo

«And the Raven,  never flitting, still is sitting /
On the pallid bust of Pallas just above my chamber door:
And his eyes have all the seeming of  a demon’s that is dreamin
And the lamp-light o’er him streaming throws his shadow on the floor:
And my soul from out the shadow that lies floating on the floor
Shall be lifted – nevermore!»

(Da “The Raven”, Il Corvo)

«E il Corvo, senza mai svolazzare, è ancora seduto
Sul pallido busto di Pallade appena sopra la porta della mia camera:
E i suoi occhi hanno tutto l’aspetto di quelli di un demone che sogna
E la luce della lampada che lo illumina getta la sua ombra sul pavimento:
E la mia anima dall’ombra che giace fluttuante sul pavimento
Non sarà sollevata – mai più!»

(traduzione mia)

Il corvo nero va ad appollaiarsi sopra una statua bianca di Pallade, e lì rimarrà per sempre non solo a significare, nelle intenzioni dell’autore, un dolore che non si estingue, ma a testimoniare un’estetica: la lotta e la composizione di classico e romantico, dove il nero notturno dell’uccello si sposa drammaticamente, come un frammento di notte, un pezzo d’inconscio incontrollabile, con il bianco della dea della saggezza, della chiara visione illuminata…

Poe fu un grande infelice, uno di quegli uomini che sembrano caricarsi sulle spalle il peso del male di vivere a nome di tutti, per conto dell’umanità intera. Una vita di precoce intelligenza e maturità artistica; di ripensamenti e pentimenti, di estrema penuria di denaro.  Su tutto e sopra tutto, due passioni divoranti: quella per la letteratura intesa nel senso più vasto e quella per l’alcol, il rifugio ingannevole desiderato e temuto. Quando un giorno a Baltimora un attacco di delirium tremens lo coglie per la strada a quarant’anni! In termini strettamente clinici, la causa della sua morte rimane poco chiara. Forse un’emorragia cerebrale; di certo fu lo spegnersi di un motore che aveva sempre girato al massimo regime e al quale, da tempo, mancava il carburante.

Immaginare Poe “vecchio” è quasi impossibile, e anche questo è un tratto eroico che sta inscritto nel suo mito. Nel suo universo, dove albergano paure irrazionali a fianco di una sistemica patina di razionalità non meno inquietante,  l’azione presuppone il mondo come disordine, come magma nel cui interno il protagonista si sforza di elaborare un piano perfetto; ma, alla fine, fatalmente l’imperfezione del mondo divora la presunta perfezione del piano e le onde del magma si chiudono drammaticamente sul protagonista. È il caso di racconti quali Il demone della perversità, Il cuore rivelatore, Il gatto nero… In questi racconti sono già presenti gli elementi tipici del genere letterario che vede in Poe il suo santo patrono: l’horror moderno.

Mentre in storie come La maschera della morte rossa, Metzengerstein, La caduta della casa Usher troviamo gli ultimi, altissimi esiti del gotico settecentesco, con i suoi castelli, la sua aristocrazia minata nel sangue, le sue rovine, i suoi cavalli demoniaci, in racconti come Il seppellimento prematuro, o i già citati Il cuore rivelatore e Il gatto nero l’orrore sta dentro le case della gente comune, è sepolto nei muri, nelle cantine, è fatto di percezioni abnormi, notti insonni, sangue domestico. I protagonisti dei grandi – eppure brevissimi – racconti neri di Poe sono i nostri fratelli, le proiezioni dei nostri desideri inconfessabili: Montresor, che nella Botte di Amontillado condanna ad una morte spaventosa l’amico che lo ha offeso; William Wilson, perseguitato nell’omonimo racconto dal proprio doppio (un uomo uguale a lui in tutto, tranne nel particolare allucinante del tono di voce poco più alto di un sussurro); i protagonisti del Cuore rivelatore e del Gatto nero, torturati da una sensibilità che li porta a sentire voci dell’inferno e a vedere ciò che gli altri non vedono, esseri destinati a perdersi come l’assassino del Demone della perversità, la più sbalorditiva descrizione del masochismo mentale che sia dato di trovare in sole cinque pagine…

Ognuna delle creazioni di Poe è centrata su di una generale esaltazione dei sensi e degli organi di senso: l’occhio velato del vecchio nel Cuore rivelatore, l’udito spaventosamente acuto di Roderick Usher, e tutta una fantasmagoria di sfioramenti, barlumi, lampi nel buio, rumori improvvisi, odori. Uno strumentario di precisione spietata ed estenuante che trova la sua apoteosi in quell’autentico racconto in versi che è The Raven, forse la più ipnotica poesia in lingua inglese dell’Ottocento…

Poe e il Dark Romanticism

Quasi in risposta al trascendentalismo puritano il genio di Boston scelse di raccontare temi centrali dell’esistenza come il peccato, la colpa l’inquietudine, l’espiazione, sentimenti tutti alberganti nell’uomo. A tal proposito, si pensi a quanto un romanzo  (il suo unico) come Le avventure di Gordon Pym si riveli antesignano e anticipatore di una precisa tendenza successiva, in merito ai racconti di mare, pirateria ed esplorazione: da Moby Dick di Melville, appunto, a L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, fino a Nostromo o Cuore di tenebra di Joseph Conrad e allo stesso Dracula di Bram Stoker, pensando alla traversata del vascello Demeter.

Senza contare che il viaggio per mare di Gordon Pym, e di tutti gli anti-eroi che lo seguiranno, non è mai solo geografico ma è sempre l’esplorazione del male che agita l’uomo e dei sentimenti che ne ghermiscono il cuore quali l’ira e la vendetta. Vero è che disperazione e strazio, colpa ed espiazione, Poe le conosceva molto bene, proprio per la sua condizione di artista inadatto al suo tempo. Poe oppose la potenza di un’immaginazione sulfurea, la capacità di dar forma all’oscuro, al macabro, all’inconscio. Quella di Poe si rivela una produzione caratterizzata dal chiaroscuro: la luce della concatenazione logica, del raziocinio e del ragionamento deduttivo (l’investigatore Auguste Dupin) collidono con l’ombra cupa e fredda del terrore e del grottesco. Questa particolare rivoluzione artistica, del resto, non è da ascriversi al solo campo della letteratura ma, per essere compresa appieno, va interpretata in parallelo alla pittura approdando così alla dimensione figurativo-pittorica.

Da tale punto di vista non sono pochi i i nomi di pittori celebri che aderiscono ad un simile modo di dipingere. Citerei anzitutto William Blake che dalla poesia, e in ultima analisi dalla letteratura, perveniva alla incisione e alla pittura abbandonandosi a paesaggi, creature, allegorie che paiono anticipare in immagine le ossessioni di Poe. Cito, fra le molte sue opere una delle più emblematiche: “Il grande drago rosso e la donna vestita di sole”. Ma chiaramente non è Blake l’unico romantico oscuro in pittura. Si pensi allo stile innovativo di Francisco Goya, ai suoi giochi di luce e ombra – fondamentale, tra le altre, la tela de Il 3 maggio 1808 – e poi ancor di più alle sue “pitture nere” talmente inquietanti e maledette da rappresentare un ideale contraltare figurativo all’opera letteraria di Poe. Oltre al grande artista spagnolo, anche John Constable ed Eugene Delacroix  appartengono di diritto al romanticismo “dark” e anche per loro il chiaroscuro è tema pittorico dominante.

Castelli diroccati, paesaggi foschi, misteriose presenze. Eroi solitari e introversi, donne diafane e sensitive che si aggirano in luoghi spettrali. Situazioni paradossali, talvolta grottesche, casi straordinari, apparizioni d’incubo e di sogno: le storie stregate di Poe sono metafore delle nostre più profonde inquietudini, esplorazioni negli oscuri meandri della psiche umana , negli orrori di una condizione umana lacerata, contraddittoria, enigmatica. L’uso  sapiente di simboli e allucinazioni, le suggestioni “gotiche” e dark-romantiche si rivelano i tratti distintivi della sua luciferina creatività!

Leggere Edgar Allan Poe significa fare i conti con un nero tumulto di voci, una sinfonia disarmonica del fantastico e, non rinunciando all’analisi del reale, si avvale della capacità drammatica di esplorare i recessi più cupi dell’animo umano. Con l’asciutto splendore della propria prosa crea il polimorfismo della sua arte che, come un leviatano, si nutre di pezzi di vita, notizie, suggestioni, fantasie intrise di ebrezza, deliri istillati da una immedicabile sofferenza, come già aveva colto Baudelaire nel suo scritto sul grande bostoniano. Ci sono due mondi: uno visibile  e intollerabile e un altro che la fragilità umana intende scandagliare  costruendo storie ai limiti estremi del bene e del male dove anche la sua fervida immaginazione  sperimenta il naufragio.

Prof. Gardenio Granata
23 Febbraio 2025

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