Gardenio Granata, I doni di Ulisse: i tranelli della “lingua”
La tradizione omerica è caratterizzata dall’esaltazione del protagonista del secondo poema epico, l’Odissea, che lo inquadra come l’eroe astuto ( sua prerogativa la “mhètis” → astuzia) e abile in grado di risolvere, con i suoi espedienti, situazioni che in principio si dimostravano irrisolvibili. Accanto all’aspetto ingegnoso si nasconde però un lato oscuro dell’eroe. Affiora l’immagine di un Ulisse bugiardo, subdolo e amorale, insomma la figura di un anti-eroe.
In Omero gli inganni di Odisseo vengono ricondotti alla categoria della menzogna necessaria, stratagemmi usati per salvare la propria vita o quella dei compagni nei momenti di difficoltà. Il sistema dell’inganno è attuato da Ulisse, molto spesso, tramite l’utilizzo del dono, un dono fittizio chiaramente, deputato a liberarsi dei suoi “persecutori”. L’esempio del dono-inganno per antonomasia è quello del “cavallo di Troia”. Da ricordare a tal proposito il verso 49 del II libro dell’Eneide virgiliana dove il troiano Laocoonte, per esortare i compatrioti a non fidarsi di quel “dono”, pronuncia parole divenute poi proverbiali: “Timeo Danaos et dona ferentes” (Temo i Greci anche quando offrono doni).
Altro episodio significativo per quel che riguarda la valenza del dono-inganno, operata da Odisseo, risiede nell’episodio del ciclope monocolo Polifemo (libro IX). Ulisse e i compagni sono terrorizzati dalla potenza della voce e dalla statura del mostro; tuttavia l’eroe trova la forza per rispondere in modo sostanzialmente sincero: sono guerrieri achei di ritorno dalla grande guerra di Troia e ora chiedono, sbarcati nell’isola, in nome di Zeus un qualche dono ospitale.
Polifemo non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi di una corretta ospitalità, afferma l’empia indifferenza dei Ciclopi verso gli Dei e avverte Ulisse e compagni che la loro sorte dipenderà dalle sue reazioni impulsive. Ulisse sfrutterà tali eccessi offrendo a Polifemo il potente vino di Ismaro, che verrà bevuto “puro”, senza la necessaria – nell’uso greco – aggiunta di acqua. Il Ciclope farà apparire chiara la natura blasfema del suo dono promettendo all’eroe di mangiarlo per ultimo! Inospitalità e antropofagia innescano subito in Odisseo il meccanismo dell’astuzia per sovvertire la sorte che si prospetta sanguinosamente tragica. A fronte della richiesta del Ciclope di dirgli il suo nome, Ulisse risponderà di chiamarsi “Nessuno”: notiamo un “gioco” linguistico di alto livello consistente nello scambio inquietante tra “metis” (astuzia) e “me tis” → nessuno: equivalente al latino “ne quis” vale a dire “né qualcuno”).
Ulisse è definito da Omero “polumetis” → (dalle molte astuzie) e il nome Polifemo (“polu femì”→ dalle molte parole), ma che non ne coglie il significato. Infatti Polifemo tradisce un’ingenua fiducia nelle parole, non avverte il cortocircuito logico di un nome che nega, nel momento in cui dovrebbe dichiararla, l’identità di un individuo. Il vino offerto in dono ubriacherà il Ciclope poi accecato dal palo di ulivo; e quando, chiederà aiuto agli altri Ciclopi rivelerà tutta la sua stolida impotenza dicendo che Nessuno lo ha ingannato.
Ora, per quanto nefasti, i doni di Ulisse sono pur sempre tali, inserendosi perfettamente nella dimensione temporale del dono: il dono non deve essere ricambiato immediatamente, ma a tempo debito. Ulisse non è impulsivo né avventato. Inoltre dimostra con la sua competenza linguistica una piena coscienza del potenziale di ambiguità connaturato al linguaggio umano. Ulisse riflette e “dona” secondo un piano prestabilito. Il fatto che riesca ad attuare questi abili tranelli è dovuto proprio alla sua capacità di resistere per consumare poi lucidamente la crudele vendetta.
Jean Starobinski in “A piene mani. Dono fastoso e dono perverso” (Einaudi, Torino, 1995) sostiene con il suo stile luciferino: “La meraviglia sussiste fin quando l’occhio dello spettatore resta fisso sulle mani di quell’abile giocoliere che è il donatore, così avviene per l’udito […] i suoni delle parole non sono colti nel vero significato: i tesori ne sgorgano come se lui ne fosse la sorgente, e come se desse così se stesso in dono. Che illusione!”…
Prof. Gardenio Granata
6 Febbraio 2021
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