Rinascimento Ermetico (Nemo #3 – Dicembre 2008)
Pubblicazione senza pretese riservata
ai Benevoli Frequentatori della Libreria «l’Antro di Ulisse» (Ferrara)
RINASCIMENTO
ERMETICO
a cura del Prof. Riccardo Merlante
Numero #3 – Dicembre 2008
Magnum miraculum est Homo
animal adorandum atque honorandum
Perciò, o Asclepio, l’essere umano è un grande miracolo, un vivente degno di rispetto e di onore. Esso, infatti, passa alla natura di un dio, come se egli stesso fosse Dio; conosce il genere dei dèmoni, in quanto sa di essere sorto insieme con loro, dalla stessa origine; disprezza, in se stesso, la parte dotata di sola natura umana, poiché ha riposto la propria fiducia nella divinità dell’altra parte. Di che felice mescolanza è composta la natura umana! È unita agli dèi poiché, grazie al suo carattere divino, è ad essi imparentata, mentre disprezza quella parte di sé che la rende terrena; quanto a tutti gli altri esseri ai quali sa di essere imparentato per volere divino, li stringe a sé con il vincolo dell’amore: guarda in alto, guarda il cielo. È situato, dunque, in una posizione intermedia tanto felice da amare gli esseri inferiori ed essere amato a sua volta da quelli superiori..
(Asclepio, VI)
L’ottimo artefice stabilì infine che a colui al quale nulla poteva esser dato di proprio fosse comune tutto quanto era stato concesso di particolare alle singole creature. Prese dunque l’uomo, questa creatura di aspetto indefinito, e, dopo averlo collocato nel centro del mondo, così gli si rivolse: «O Adamo, non ti ho dato una sede determinata, né una figura tua propria, né alcun dono peculiare, affinché quella sede, quella figura, quei doni che tu stesso sceglierai, tu li possegga come tuoi propri, secondo il tuo desiderio e la tua volontà. La natura ben definita assegnata agli altri esseri è racchiusa entro leggi da me fissate. Tu, che non sei racchiuso entro alcun limite, stabilirai la tua natura in base al tuo arbitrio, nelle cui mani ti ho consegnato. Ti ho collocato al centro dell’universo perché da lì tu potessi meglio osservare tutto quanto esiste in esso. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu, quasi libero e sovrano creatore di te stesso, possa plasmarti nella forma che preferirai. Potrai degenerare negli esseri inferiori, ossia negli animali bruti; o potrai, seguendo l’impulso de tuo animo, essere rigenerato negli esseri superiori, cioè nelle creature divine».
(Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate, 17-23)
Ermetismo
Il termine Ermetismo trae origine da Ermete Trismegisto (Hermes Termaximus, il tre volte grande), nome derivato dalla conta mi na zione tra il dio greco Ermete (Mercurio) con il dio egizio Thot, divinità che nelle rispettive tradizioni presiedevano entrambe alla scrittura e alla magia. Ad Ermete Trismegisto vennero attribuite numerose opere, fra le quali il gruppo più considerevole è quello denominato appunto Corpus Hermeticum, diviso in due parti: 18 trat tati il primo dei quali, intitolato Pimander, designa anche l’intera se rie, e l’Asclepius, già noto nel Medioevo nella traduzione attribuita ad Apuleio di Madaura (II sec.). I testi furono raccolti nell’XI sec. dall’erudito bizantino Michele Psello, e nel 1460 giunsero a Firenze nelle mani di Cosimo de Medici, il quale ne commissionò immediatamente la traduzione latina a Marsilio Ficino. Ritenuto autentico dai Padri apostolici, il Corpus ebbe grande fortuna per tutto il Rinascimento, che vi riconobbe la testimonianza della più antica sapienza egiziana (anteriore a Mosè), poi passata in eredità ai Greci attraverso Orfeo, Pitagora e Platone, e lo interpretò come pre annuncio della rivelazione cristiana. La traduzione latina del Corpus Hermeticum verrà dall’umanista Francesco Patrizi (1529-1597) nel suo libro Nova de Universis philosophia, pubblicato a Ferrara nel 1591, molto apprezzato da G. Bruno. Nel XVII secolo, però, il filologo Isaac Casaubon dimostrò (nel De rebus sacris et ecclesiasticis) che quei testi risalivano in realtà solo al III secolo d.C.
Alla base della filosofia ermetica vi è il percorso iniziatico che l’uomo deve compiere per liberare dai vincoli terreni la parte divina (l’intelletto) insita in lui. I mezzi per raggiungere la salvezza sono costituiti dal percorso di conoscenza (gnosi), che consente la purificazione interiore e quindi il ricon giungimento con l’intelletto divino. Nella concezione ermetica, le varie parti dell’universo sono tra loro strettamente connesse: esiste una corrispondenza tra il microcosmo e il macrocosmo e l’inter di pendenza tra l’uomo e le stelle è fondata sulle leggi astrologico-magiche di simpatia ed antipatia, che la rivelazione ermetica può aiutare a scoprire per consentire all’essere umano di rag giun gere la puri fi ca zione intellettuale (catarsi).
La Magia Naturalis di Marsilio Ficino
Nel terzo libro del suo Libri de vita (1489), intitolato De vita coelitus comparanda, Ficino espone la sua concezione magico-filosofica, secondo cui fra l’anima del mondo (anima mundi) e il suo corrispettivo corpo materiale (corpus mundi) esiste uno spirito (spiritus mundi) che compenetra tutto l’universo e tramite il quale gli influssi delle stelle pervengono all’uomo (che vi attinge per mezzo del proprio spirito) e all’intero corpus mundi. Attraverso la magia, l’uomo può controllare e guidare l’influsso dello spiritus sulla materia; uno dei mezzi più importanti per conseguire tale scopo è costituito dai talismani, oggetti materiali in cui è stato introdotto e custodito lo spirito di una stella. Si tratta di una magia naturale che si serve di talismani planetari diretti alle stelle come forze del mondo, o forze naturali, e non come demoni.
La Magia Cabalistica di Pico della Mirandola
Alla magia naturalis di Ficino l’umanista Pico della Mirandola (1463-1494) aggiunse un altro tipo di magia, la cabala pratica (o magia cabalistica), una tradizione mistica ebraica che si riteneva molto antica e che lo stesso Mosè avrebbe tramandato oralmente a uno strettissimo gruppo di iniziati. La magia cabalistica di Pico non si basava solamente sullo spiritus mundi, come la magia naturale, ma cercava di attingere ai poteri spirituali superiori, al di là dei poteri naturali del cosmo. «La cabala pratica», scrive F. Yates, «invoca gli angeli, gli arcangeli, le dieci sefiroth (nomi o poteri di Dio) e infine Dio stesso, servendosi di mezzi alcuni dei quali sono simili ad altri procedimenti magici, ma più particolarmente avvalendosi del potere della sacra lingua ebraica. Si tratta, dunque, di un tipo di magia molto più ambizioso della magia naturale di Ficino, e tale da non poter essere disgiunto dalla religione». Nella 14a delle Conclusiones (1486), infatti, Pico dimostra come, manipolando cabalisticamente il nome di Gesù, si stabilisce che questi è il figlio di Dio.
La Harmonia Mundi di Francesco Giorgi
Il frate francescano veneziano Francesco Giorgi, o Zorzi (1466-1540), nel suo trattato De harmonia mundi (1525), riprende le tesi cabalistiche di Pico (rispetto al quale Giorgi, a Venezia, ha la possibilità di attingere ad una messe maggiore di fonti di letteratura religiosa ebraica) e la tradizione numerologica pitagorico-platonica e le unisce alle idee sull’armonia universale e persino alla teoria dell’architettura di Vitruvio, giungendo anch’egli a dimostrare che Gesù era il nome del Messia. Egli mette in relazione le gerarchie angeliche con i pianeti e i loro influssi, senza però annullare il libero arbitrio, fornendo un metodo magico per contattare gli angeli corrispondenti.
Reuchlin e la diffusione della Cabala cristiana
Detto anche Kapnion, o Capnio, Johannes Reuchlin (1455-1522) fu un filosofo, umanista e teologo, rappresentante del platonismo e del Rinascimento tedesco. Studiò Zarathustra e Pitagora e, grande conoscitore della lingua ebraica, scoprì, sulle orme di Pico, la mistica e la teologia nella cabala, come attestato nel De verbo mirifico (1494) e nel De arte cabalistica (1517). In quest’ultima opera egli esalta la Cabala come scienza divina ed esalta la lingua ebraica, con la quale Dio parla agli angeli e nella quale si esprime il vero nome (o i nomi) di Dio e degli angeli. Potenziando le tesi già affermate da Pico, Reuchlin contribuì potentemente alla diffusione della Cabala cristiana.
Picatrix
Grande influenza sul pensiero ermetico rinascimentale ebbe anche Picatrix (in arabo Gāyat-al-hakīm), opera tradotta in Spagna nel X secolo in latino. Il libro contiene consigli pratici di magia, formule, elenchi di immagini basilari per costruire talismani, corrispondenze tra pietre, animali e piante, pianeti, segni dello zodiaco e parti del corpo umano, insegna la possibilità di predire eventi futuri e indica quali sono i mo menti migliori per farlo, in armonia con le posi zioni dei pianeti. Non ebbe edizioni a stampa, ma conobbe una notevole diffusione manoscritta nei secoli XV-XVI, ed influenzò profondamente personaggi come gli umanisti Marsilio Ficino e Pico della Mirandola e il mago Cor nelio Agrippa).
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Johannes Trithemius (1462-1516)
Pseudonimo di Johann Heidenberg, abate benedet tino nativo di Tritenheim, in Germania. Conoscitore di lingue orientali come l’ebraico, il caldeo e il tartaro, iniziato alla conoscenza ermetica, era in contatto con cabalisti, alchimisti e occultisti come Cornelio Agrip pa. Il suo nome è legato soprattutto all’ideazione di sistemi di scrittura cifrata (definiti nel trattato eso terico intitolato Steganographia, circolante in forma manoscritta e pubblicato soltanto nel 1606), con cui sarebbe stato possibile inviare messaggi tramite uso di linguaggi magici.
Tritemio elaborò 40 sistemi principali e 10 sotto-sistemi secondari di scrittura cifrata, sfruttando non solo combinazioni di acronimi, ma anche usando dei dischi rotanti basati sulla sostituzione mono-alfabetica, in cui il posto di ogni lettera del messaggio è preso dalla lettera che si trova ad una distanza di x posti nell’alfa be to ordinario, dove x, nel caso dell’alfa be to completo di 26 lettere, è un numero compreso tra 1 e 25. Successivamente alla Steganographia, Tritemio com pi lò anche un’altra opera: i Polygraphiae Libri Sex, in cui il metodo crit to grafico si riconduceva all’idea di sostituire le sin gole lettere componenti lo scritto da codificare con pa role intere appartenenti al registro linguistico della preghiera religiosa. Ecco perché i messaggi criptati con tale metodo venivano definiti “le litanie di Tritemio“.
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Cornelio Agrippa
Heinrich Cornelius Agrippa, filosofo tedesco nativo di Nettesheim (vicino a Colo nia), medico personale di Luisa di Savoia e storiografo di Carlo V. Il suo pensiero è affidato sostan zialmente al De occulta philosophia, scritta tra il 1510 e il 1530, ossia la magia, che egli considera «la vera scienza, la filosofia più elevata e perfetta, in una parola la perfezione e il compimento di tutte le scien ze naturali».
Secondo Agrippa esistono tre mondi: Elementare, Celeste e Intellettuale, oggetto di studio rispettivamente di Fisica (Magia naturale), che svela l’essenza delle cose terrene, Matematica (Magia celeste), che spiega il moto dei corpi celesti, e Teologia (Magia cerimoniale), che consente di comprendere «Dio, la mente, gli angeli, le intelligenze, i demoni, l’anima, il pensiero, la religione, i sacramenti, le cerimonie, i templi, le feste e i misteri». La Magia, che comprende e pone in atto queste tre discipline, è dunque la scienza integrale della natura, sia fisica che metafisica. L’espressione «Filosofia occulta» indica la sua natura di scienza di tutte le cose, materiali e spirituali, sottolineando al contempo la sua peculiarità di sapienza esoterica, riservata a pochi.
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Paracelso
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelsus o Paracelso (a indicare la propria superiorità rispetto ad Aulo Cornelio Celso, un naturalista romano del I secolo esperto in medicina), laureatosi all’Università di Ferrara negli stessi anni in cui si laureò Copernico, fu «principe dei medici e dei filosofi del fuoco, Grande fisico paradossale, il Trismegisto della Svizzera, Primo riformatore della filosofia alchemica, adepto in alchi mia, Cabala e magia, fedele naturalista maestro dell’elisir della vita e della pietra filosofale, grande sovrano dei segreti alchemici». La sua grandezza consiste nell’avere percorso la via della conoscenza con mente aperta e spirito indagatore, rifiutando le logore teorie aristoteliche del suo tempo, fondando la iatrochimica, basata sulla cura delle malattie tramite l’uso di sostanze minerali (utilizzava l’oppio a scopo terapeutico somministrando pastiglie che lui chiamava laudanum (ossia la medicina più lodevole). I suoi studi erano un misto di scienza e alchimia. «Se la fonte di vita», si legge nei suoi appunti, «chiusa in un’ampolla di vetro sigillata ermeti ca mente, viene seppellita per quaranta giorni in letame di cavallo e opportunamente magnetizzata, comincia a muoversi e a prendere vita. Dopo il tempo prescritto assume forma e somiglianza di essere umano, ma sarà trasparente e senza corpo fisico. Nutrito artificialmente con arcanum sanguinis hominis per quaranta settimane e mantenuto a temperatura costante prenderà l’aspetto di un bambino umano. Chiameremo un tale essere Homunculus, e può essere istruito ed allevato come ogni altro bambino fino all’età adulta, quando otterrà giudizio ed intelletto». Anche Paracelso intendeva il mondo come rappor to intimo tra microcosmo e macrocosmo, per cui lo studio delle analogie tra due diverse entità poteva permettere di intervenire sull’una ispirandosi all’altra. Dato che quanto avviene in cielo ha strette analogie con quanto avviene in Terra, è necessario conoscere bene il comportamento delle sfere cele sti per poter intervenire sulla Terra. E Paracelso considerava esservi una intima analogia tra i vari orga ni del corpo umano e i vari cieli o astri. Il corpo umano era il microcosmo dove si realizzava in piccolo ciò che avveniva nel mondo macroscopico, quello sopra il cielo della Luna. I rimedi per le cure del malato potevano trovarsi solo conoscendo bene il macrocosmo, sulla base delle seguenti corrispon denze:
PARTI DEL CORPO | ASTRI | METALLI | COLORI | PIETRE |
milza, ossa | Saturno | piombo | verde, nero | diamante |
polmoni, bocca | Mercurio | argento vivo | giallo, blu | smeraldo |
reni, genitali | Venere | rame | indaco, verde | lapislazzuli |
fegato | Giove | stagno | blu, bianco | zaffiro |
muscoli, sangue, bile | Marte | ferro | rosso | ametista |
testa, cervello | Luna | argento | viola, grigio | perla, quarzo |
cuore | Sole | oro | arancione | crisolite |
Amava moltissimo bere e tuttavia, anche se ubriaco, riusciva a compiere operazioni chirurgiche di grande bravura e precisione. Morì a Salisburgo, all’osteria del Cavallo Bianco.
Aveva pubblicato pochissimo e alla sua morte il servitore Oporinus, che gli era rimasto al fianco per anni nella speranza di carpirne i segreti, rimase stupito nel trovare un grande quantitativo di mano scrit ti, dato che non aveva mai visto il suo padrone scrivere una sola parola. E la sorpresa fu ancora maggiore quando si rese conto che tali scritti avevano una tale eleganza di linguaggio che non sembrava possibile fossero stati scritti da un ubriacone.
Palingenio (1500-1543 ca)
Marcello Palingenio Stellato, pseudonimo di Pier Angelo Manzoli, nato a Stellata (Ferrara) nel 1500. Medico e studioso di scienze occulte, è autore di un poema filosofico ispirato a Lucrezio, lo Zodiacus vitae (1534-1537), in esametri latini, in 12 libri corrispondenti ai segni dello Zodiaco, che tratta dell’universo e della natura dei corpi celesti, della terra e dei suoi abitanti, dell’anima del mondo, e si conclude con la visione della vita spirituale al di là del cielo, alla quale solo pochi possono aspirare. A causa della simpatia nei confronti delle tesi luterane e dei duri attacchi contro la corruzione del clero, nel 1588 l’opera venne posta all’Indice dall’Inquisizione, che nel 1549 aveva inoltre fatto esumare e bruciare per eresia le spoglie di Palingenio.
I primi che presero seriamente in considerazione questo poema furono il filosofo, umanista e medico Giulio Cesare Scaligero (1484-1558) nelle sue Poetices (1561) e, soprattutto per il panteismo naturali sti co che lo pervade, Gior dano Bruno nel libro VIII del De Immenso (1591), dove egli non solo di scu te le idee cosmologiche del Palingenio, ma riprende o letteralmente para fra sa alcuni pas sag gi dello Zodiacus Vitae.
Girolamo Cardano (1501-1576)
Matematico, medico e astrologo italiano, noto soprat tutto per i suoi contributi all’algebra; nella sua opera maggiore, l’Ars magna (1545) pubblicò le soluzioni dell’equazione cubica e dell’e qua zio ne quartica (parte della soluzione dell’equazione cubica gli era stata comunicata da Tartaglia, che in seguito affermò che Cardano lo aveva assicurato di non divulgarla). Progettò anche alcuni meccanismi come la serratura a combinazione, la sospensione cardanica, il giunto cardanico (tuttora usato), e ideò un proce di men to crittografico denominato griglia car da ni ca. Nel De Subtilitate e nel De Varietate, opere di ca rat tere enci clo pe dico, si oc cu pò di scienze naturali e di argomenti riguardanti l’oc cul tismo e la su perstizione. Cardano viene accusato di eresia nel 1570 per aver pub bli cato nel 1554 un oroscopo di Cristo. Arrestato e incarcerato per diversi mesi, fu costretto ad abiurare e ad abbandonare la cattedra occupata all’Università di Bologna. Secondo alcuni, a Cardano si sarebbe ispirato Shakespeare per il personaggio di Prospero nella Tempesta.
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Nostradamus (1503-1566)
Michel de Notre-Dame, astrologo e farmacista francese, ma soprat tut to uno dei più noti scrittori di profezie, affidate al suo libro Le Profezie, in quartine rimate raccolte in gruppi di 100 (per questo l’opera è nota anche come Centurie). Molti gli attribuiscono la predizione di moltissimi eventi nella storia del mondo (la Rivoluzione francese, la bomba atomica, l’ascesa di Hitler, gli attacchi dell’11 settembre al World Trade Center), che gli scet tici considerano però solo come esempi di chiaroveg gen za retroattiva (profezie interpretabili solo dopo gli acca dimenti). Dopo la pubblicazione delle Profezie (1556), molti pensarono di lui che fosse un servo del diavolo, un ciarlatano o un pazzo, ma altri credevano che le sue quartine fossero realmente ispirate. Numerosi nobili gli chiesero per oroscopi e consigli, come ad esempio Caterina de Medici, la regina consorte di Enrico II di Francia, che fu fervente ammiratrice.
Le quartine sono rese oscure dalla presenza di giochi di parole e dall’accostamento e sovrapposizione di vari linguaggi (provenzale, greco, latino, italiano, ebraico e arabo), e dall’utilizzo di un linguaggio occulto che fa pensare ad una sua familiarità con la magia ermetica.
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De nuict viendra par la forest des Reines Deux pars vaultorte Herne la pierre blanche. Le moyne noir en gris dedans Varennes, Esleu cap cause tempeste, feu sang tranche. |
Sull’interpretazione di questa quartina, che si riferirebbe all’arresto di Luigi XVI e Maria Antonietta e alla loro decapitazione, si veda: Georges Dumézil, «Il monaco nero in grigio dentro Varennes» (Milano, Adelphi, 1987). Secondo l’autore, è questa l’unica profezia che può avere un preciso riscontro nella realtà degli eventi. |
[Di notte verrà attraverso la foresta di Regine, Due parti valtorta Herne la pietra bianca. Il monaco nero in grigio dentro Varennes, Eletto capo causa tempesta, fuoco sangue trancia] |
John Dee (1527-1608)
Matematico, filosofo e alchimista inglese, con forti interessi per l’occultismo, la divinazione e la filosofia ermetica, soprattutto a partire dal 1581, quando iniziò la sua collaborazione con Edward Kelley. Accusato nel 1551 di aver cercato di avvelenare Maria I Tudor, venne scagionato e poi accolto a corte dalla regina Elisabetta I, di cui divenne l’astrologo di fiducia (si dice che la regina fosse convinta di essere stata da lui liberata da un maleficio). Dopo aver viaggiato a lungo in l’Europa, si stabilì a Praga fino al 1589, svolgendo attività spiritistica insieme al suo assistente Edward Kelley. Rientrato in Inghilterra, le voci sulla sua attività stregonesca provocarono un raffreddamento dei suoi rapporti con Elisabetta, che lo allontanò da Londra nominandolo sovrintendente del Christ College di Manchester. Qui si trasferì con la famiglia, che però nel 1605 fu sterminata dalla peste. Morì in solitudine e povertà
Insieme a quello di Edward Kelley, il suo nome è legato alla ‘Mano della Gloria’ (Sigillum Emeth), un talismano di cera per evocare gli spiriti conservato oggi, insieme ad uno specchio nero di ossidiana e altri oggetti, in una teca del British Museum a Londra.
Una curiosità:
Secondo alcuni, Dee avrebbe tradotto in inglese il manoscritto del Necronomicon, un libro immaginario di cui però si è cominciato a parlare solo a partire dall’opera di H. P. Lovecraft. Secondo questo autore, il Necronomicon (il cui titolo originale in arabo è Al Azif) è un testo di magia nera compi la to dallo stregone arabo Abdul Alhazred, vissuto nel lo Yemen nell’VIII secolo d.C. e morto a Da masco in circostanze misteriose.
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Edward Kelley (1555-1597)
Edward Kelley era un mago e alchimista inglese che si riteneva in grado di evocare spiriti e angeli tramite un talismano di cera (costruito su indicazioni dell’angelo Uriele) e che sosteneva di possedere il segreto della trasmutazione dei metalli vili in oro grazie a una particolare tintura rossa che egli avrebbe trovato tra le rovine dell’Abbazia di Glastonbury. La sua fama è associata a quella del conterraneo John Dee, che conobbe nel 1582 e con cui collaborò strettamente fino al 1589, girovagando per l’Europa e stabilendosi in fine in Boemia, a Praga, dove sarebbero entrati in contatto col cabali sta e mago rabbi Loew (il leggendario creatore del Golem) e dove l’im peratore occultista Rodolfo II d’Asburgo teneva la sua corte. Dee e Kelley quindi si separarono: Dee rientrò in Inghilterra, mentre Kelley continuò a lucrare sulle sue presunte arti magiche e alche mi che. Convinse anche l’imperatore della sua capacità di produrre oro, ma questi, stancatosi di attendere i risultati promessi, lo fece arrestare. Rilasciato nel 1594 e nuovamente arrestato, morì nel 1597, forse suicida o forse nel tentativo di evadere con una corda troppo corta.
Gli spiriti angelici con cui Kelley e Dee affermavano di comunicare si servivano di una lingua speciale (detta Enochiano), che sostenevano di avere appreso dagli angeli stessi, ma che probabilmente fu in ven tata proprio da Kelley. In questa lingua misteriosa è redatto il manoscritto Voynich, che contiene descri zioni e disegni di piante sconosciute e numerose illustrazioni dei soggetti più svariati. Pare che que sto libro sia un falso, costruito appositamente da Kelley e Dee ai danni di Rodolfo II.
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L’unica copia del manoscritto Voynich (MS 3189) è conservata presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library della Yale University.
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Giambattista Della Porta (1535-1615)
Fu un intellettuale di vasti interessi, che vanno dalla medicina alla demonologia, dalla chiromanzia al magnetismo, dall’astrologia alla meccanica, dalla mnemotecnica all’occultismo. Nel 15 fondò a Napoli l’Accademia dei Segreti (Academia secretorum naturae), dedicata allo studio della natura, che venne fatta chiudere dall’Inquisizione nel 1578. La sua opera più importante è la Magia naturalis, pubblicata per la prima volta nel 1558 e infine, molto ampliata, nel 1589. L’opera, che tratta di moltissimi argomenti, frutto degli studi dell’autore e degli altri suoi colleghi dell’Accademia, ebbe un grande successo e venne tradotta nelle principali lingue europee, ma gli valse anche l’accusa di stregoneria. Scopo del libro è quello di esaltare la magia naturale quale scienza suprema, in grado di portare alla conoscenza delle forze occulte del mondo naturale. La convinzione dell’unità dell’universo e del suo preciso ordinamen to gerarchico al cui vertice è Dio, e che tutte le cose siano tra loro collegate attraverso legami di simpatia o antipatia lo porta a costruire una scienza che, come egli stesso afferma, «impara da segni che sono fissi nel corpo et accidenti che trasmutano i segni, a inves ti gar i costumi naturali dell’animo». Da ciò deriva il suo interesse per la ‘fisiogno mi ca’ (testimoniato dal De humana physiognomonia, pubblicato nel 1586, che precorre l’opera di J. K. Lavater), l’arte di interpretare gli stati dell’anima in base alla struttura del corpo e, in modo particolare, dal volto delle persone.
Giordano Bruno (1548-1600)
Il suo pensiero è caratterizzato da una forte base neoplatonica ed ermetica. Fu sostenitore in teologia del panteismo, in cosmologia dell’infinità dello spazio, della pluralità dei mondi e del sistema elio cen trico copernicano, in biologia dell’esistenza della vita in tutta la natura, in psicologia del pampsichismo (cioè dell’animismo universale); nell’etica gettò le basi di una morale positiva, areligiosa e autonoma basata sull’idea che l’intero universo è pervaso da una teleologia im ma nente, per cui ogni cosa si perfeziona e si migliora continuamente, es sendo la natura causa, legge e fine a se stessa. Distruttore dei pre giu dizi dei suoi tempi, egli rifondò la scienza e la filosofia della natura, negando il dualismo che poneva in antitesi forma e materia, cielo e terra, spirito e materia, anima e corpo, sen so e intelletto, conciliando invece questi concetti solo ap pa ren temente contraddittori. Come espresso nel De umbris idearum (1582), l’universo è un corpo unico, organicamente formato, strutturato secondo un preciso ordine che con net te ogni singola cosa a tutte le altre. Fondamento di questo ordine sono le idee, principi eterni e immutabili, men tre ogni singolo ente non è che imitazione, immagine, ombra della realtà ideale che lo regge. Rispecchiando in se stessa la struttura dell’universo, la mente umana, che ha in sé non le idee, ma le ombre delle idee (il richiamo è al mito platonico della caverna), può raggiungere la vera conoscenza, ossia le idee e il legame che collega ogni cosa a tutte le altre, al di là della molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Si tratta quindi di cercare di ottenere un metodo conoscitivo che colga la complessità del reale, risalendo fino alla struttura ideale che sostiene il tutto. Tale metodo è l’arte della memoria, il cui compito è di superare la confusa molteplicità delle immagini e di connettere le immagini delle cose ai concetti, in una rappresentazione simbolica di tutto il reale.
Accusato di eresia, non volle rinnegare le proprie idee e fu pertanto condannato al rogo. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi, a Roma, il 17 febbraio del 1600, fu condotto con la lingua in giova (ossia serrata in una morsa che gli impediva di parlare) nella piazza di Campo dei Fiori, dove morì bruciato.
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Ruote utilizzate da Bruno per supportare l’arte della memoria (da Giordano Bruno, Corpus iconographicum. Le incisioni nelle opere a stampa, a cura di M. Gabriele, Milano, Adelphi, 2001) |
Tommaso Campanella (1568-1639)
Nato a Stilo (in Calabria), entrò a soli quindici anni nell’ordine domenicano, ma il suo spirito inquieto gli fece subito assumere una posizione critica nei confronti dei dogmi religiosi. In particolare, rimase colpito dal De rerum natura iuxta propria principia (1565) di Bernardino Telesio, attraverso cui scoprì, superando la filosofia scolastica, che la natura poteva essere osservata oggettivamente, e poteva essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall’uomo, ossia prima con i sensi e poi con la ragione, osservando e ragionando, senza pregiudizi e senza vincoli formali con i testi aristotelici. Accusato di eresia dall’Inquisizione, venne sottoposto a vari processi, prima a Napoli (1592, poi a Padova (1594) e a Roma (1595). Riuscì a salvarsi abiurando, poi, rientrato in Calabria, vi organizzò un moto insurrezionale, destinato a fallire, contro il governo spagnolo, con lo scopo di instaurare una profonda riforma religiosa e un ordine teocratico. Arrestato nel 1599, riuscì a salvarsi fingendosi pazzo, ma fu costretto a scontare 27 anni di carcere a Napoli e altri 3 a Roma. Alla liberazione, ottenuta per interessamento di papa Urbano VIII, accolse le idee di Galileo, ma, prudentemente, fuggì a Parigi, dove si dedicò alla pubblicazione delle sue opere (Philosophia sensibus demonstrata, 1591; De sensu rerum et magia, 1604; il testo utopistico La Città del Sole, 1602) e dove morì nel 1639.
Secondo Campanella, la Natura è composta di tre principi, creati da Dio con Potenza, Sapienza e Amore (le tre primalità): materia, caldo e freddo; caldo e freddo sono principi attivi che danno origine al cielo e alla terra, attraverso la cui lotta si generano i secondi enti. Le tre primalità (corrispondenti alle tre nature divine) determinano il triplice carattere di ogni essere: tutte le cose hanno potenza di vivere, sapienza e amore necessari alla loro conservazione; tutte le cose hannosensibilità e amore, e desiderano eternarsi come Dio e attraverso Dio nessuna cosa muore ma sem plicemente si
trasforma. Cam pa nella parla anche delle primalità del non-essere presenti nel mondo finito (Impotenza, Insipienza e Odio), che, tranne che in Dio, contrastano le primalità dell’essere. L’intervento sulla natura è reso possibile dalla magia, che è in grado di individuare le relazioni tra tutte le cose dell’universo: «beato chi legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non dal proprio capriccio, e impara così l’arte e il governo divino, facendosi di conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio». La magia si manifesta attraverso le sensazioni, che possono essere negative o positive e fanno capire all’uomo di essere parte integrante di un ordine universale; tuttavia, nonostante sia parte di questo ordine, egli può opporsi ad esso (magia negativa) o ad esso armonizzarsi, cercando di assecondare l’ordine universale (magia positiva).
Robert Fludd (1574-1637)
Medico, alchimista e occultista inglese, ammiratore di Paracelso, Robert Fludd (detto anche Robertus de Fluctibus) è considerato «uno degli ultimi esempi di genio universale, capace di affrontare al tempo stesso i problemi tecnici più complessi, utilizzando l’esperimento in maniera sistematica, senza abbandonare peraltro la visione magico-religiosa del mondo caratteristica dei secoli precedenti». Il suo pensiero è permeato di influssi ermetici e cabalistici, nonché della dottrina dei Rosacroce, un ordine segreto che sarebbe stato fondato nel 1407 dal tedesco Christian Rosen kreutz e che aveva come scopo una riforma religiosa e morale e la condivisione delle conoscenze occulte all’interno del ristretto gruppo degli iniziati. Occultismo, cabala, ermetismo, astrologia, osservazioni sperimentali e rosacrucianesimo risultano intrecciati nelle sue opere, tra cui il Tractatus apologeticus integritatem societatis de Rosae Cruce defen dens, la Utriusque cosmi… historia (1617-1621), la Anatomiae Amphitheatrum (1623), il Summum Bonum (1629), la Clavis Phylosophiae et Alchy miae Fluddanae (1633) e la Philosophia mosaica (1638, postuma).
Il rosacrucianesimo si affermò nel Seicento con la pubblicazione di alcuni manifesti: due scritti anonimi del 1614 e Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz di Valentin Andreae (1616).
Sulla controversa esistenza di questo ordine si veda il volume di F. Yates, L’Illuminismo dei Rosa-Croce, Torino, Einaudi, 1976.
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Albrecht Dürer, Melencolia I (1514), Londra, British Museum |
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