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Walter Benjamin [Charlottenburg, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940]

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Walter Benjamin e l’Arte

Nella società industriale massificata può esistere l’arte autentica?
Questo interrogativo ha interessato una parte rilevante del pensiero estetico novecentesco. Adorno, Marcuse, Horkheimer, Heidegger sono tra i principali pensatori che han elaborato sofisticate risposte a questo quesito. Tra questi spicca Walter Benjamin che nel notevole testo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936 ha lasciato in eredità un contributo prezioso e raffinato su tale ambito.

L’elemento che maggiormente si delineava negli anni Trenta del Novecento riguardava il rapporto tra politica ed arte. Quest’ultima tendeva ad essere utilizzata dalla prima al fine di ottenere consensi, di rimarcare la detenzione del potere attraverso l’uso spettacolare e strumentale delle opere d’arte. Benjamin definì questo fenomeno come “l’estetizzazione del potere” che si riscontrava sia nei regimi totalitari che nelle democrazie. I regimi facevano un uso spregiudicato e diretto dell’arte, le democrazie si esprimevano in forme più acute ed occulte.

Walter Benjamin [Charlottenburg, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940]L’interrogativo che si ponevano molti autori consapevoli di questo fenomeno non era solo legato alla ricerca della comprensione del rapporto tra arte e politica. Si chiedevano se fosse pensabile ed esprimibile un arte autentica all’interna delle società industriale di massa. Si chiedevano quali fossero le condizioni necessarie allo sviluppo di un arte autentica.

L’interesse primario di Benjamin riguarda l’uso politico dell’arte, ma nella sua analisi del tema dedica ampio spazio alle concrete possibilità dell’arte autentica e delle forme che assume nella società prima indicata. Questo sarà il tema che affronterò principalmente in questo breve scritto.

“In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile. Una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere rifatta da altri uomini. Simili riproduzioni venivano realizzate dagli allievi per esercitarsi nell’arte, dai maestri per diffondere le opere, infine da terzi semplicemente avidi di guadagni. La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è invece qualche cosa di nuovo, che si afferma nella storia ad intermittenza, a ondate spesso lontane l’una dall’altra, e tuttavia con crescente intensità”.

Questo passo de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica indica il percorso seguito dal pensatore, che desidera riflettere sulle modalità di riproduzione dell’arte e di come queste abbiano cambiato drasticamente l’opera d’arte.

A seguito di quanto esposto testé Benjamin individua nel percorso storico un susseguirsi di espressioni assunte dalla riproduzione tecnica dell’arte, che partendo dalle fusione e dal conio delle monete, passano per la xilografia e la litografia, per approdare alla stampa e soprattutto all’invenzione della fotografia prima, e del cinema. Queste ultime due tappe han provocato enormi cambiamenti e veri e propri sconvolgimenti nella riproducibilità artistica, tanto da capovolgere la riesecuzione propria delle prime forme assunte dal fenomeno, in una ridefinizione dell’opera artistica carica di innovazione e originalità. Benjamin sottolinea questo passaggio indicando come “Verso il 1900, la riproduzione tecnica aveva raggiunto un livello, che le permetteva non soltanto di prendere come oggetto tutto l’insieme delle opere d’arte tramandate e di modificarne profondamente gli effetti, ma anche di anche di conquistarsi un posto autonomo tra i vari procedimenti artistici”.

La nascita del cinema sonoro s’inserisce al culmine di questo percorso, in quanto grazie alla riproduzione a livello tecnico della voce, si apre la strada per nuove forme di produzione dell’arte. Ma tali nuove modalità di espressione artistica e, conseguentemente, tali nuove opere d’arte (in particolar modo legate alla fotografia ed al cinema) comportano una perdita rilevante. Ogni opera ha una sua dimensione autentica, una sua originalità, una sua irreperibilità radicata fortemente nel tempo e nel luogo entro cui nasce e si colloca originariamente. “La tecnica della riproduzione, così si potrebbe formulare la cosa – si legge nell’opera di Benjamin – sottrae il prodotto all’ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi. E permettendo alla riproduzione di venir incontro a colui che ne fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il prodotto”. Tali elementi che ruotano attorno all’autenticità dell’opera d’arte, vengono definiti come l’aura o l’hic et nunc della stessa.

Il pensatore sostiene che questa scomparsa dell’aura è determinata anche dall’evolversi storico, che declina in forme differenti sia le forme delle opere d’arte che le forme di percezione sensoriale e di creazione artistica. Nel suo tempo, e per molti aspetti questa tesi è attualizzabile, da un lato si è assistito allo spostamento del punto focale della manualità alla visibilità e dall’altro al bisogno di avvicinare le opere al fruitore. Questa combinazione tra tendenze di avvicinamento, elevata riproducibilità dell’opera d’arte ed espressione di una crescente espansione dell’ambito visivo han portato alla scomparsa dell’aura. Nel passato l’approccio più manuale all’arte, l’autentica irripetibilità ed unicità delle opere e l’assenza del bisogno di avvicinarle ai fruitori permetteva il sussistere dell’hic et nunc dell’arte.

Al fine di mostrare l’effetto che il concetto di aure ha in Benjamin è utile prendere in esame alcune sue espressioni. Il teatro conserva l’aura delle sue rappresentazioni in quanto l’autenticità e l’irripetibilità di esse si manifesta direttamente ai fruitori, la recitazione dal vivo entro luoghi nei quali l’opera si radica e ove più essere riconosciuta con immediatezza. Diversamente il cinema non conserva l’aura, in quanto i film e le riprese avvengono separatamente sia dal cinema che dallo spettatore, e son frammentate in modo da seguire o un ordine logistico legato alle disponibilità dei vari attori, oppure le scelte della regia. L’ordine proprio della storia e delle modalità in cui viene narrata non corrisponde ai tempi di ripresa. Infine, mentre nel teatro l’occhio dello spettatore segue l’evolversi dello spettacolo, nel cinema vi sono mezzi che innovano e stravolgono le normali percezioni umane. Rallentamenti, velocizzazioni e via dicendo provocano modificazioni alla comune percezione.

Heidi Winner, 'Arbeit Macht Frei'Nell’elaborare il concetto di aura Benjamin più volte si riferisce all’ancoraggio dell’opera d’arte entro un contesto tradizionale, nel quale si rivela la sua autenticità. Ora, proprio a partire dal ruolo della tradizione, il pensiero del filosofo si snoda su un secondo passaggio: la distinzione tra il valore culturale ed il valore espositivo dell’opera. Il valore culturale è legato alla fruizione religiosa o magica dell’opera, i cui elementi estetici sono prevalentemente tralasciati. “Il modo originario di articolazione dell’opera d’arte dentro il contesto della tradizione – scrive Benjamin – trovava la sua espressione nel culto. (…) Il valore unico dell’opera d’arte autentica trova la sua fondazione nel rituale, nell’ambito del quale ha avuto il suo primo ed originario valore d’uso”. L’aura quindi si esprimeva prima nel radicamento nella tradizione rituale e magica, poi in quella religiosa. Il valore espositivo si estrinseca attraverso l’affievolimento e la definitiva scomparsa del valore culturale e dall’importanza dell’aspetto estetico. In riferimento al valore culturale si può pensare ad una statua di una divinità greca, valorizzata come centro di attrazione di rituali, espressioni della dimensione divina. Se tale statua viene inserita in uno spazio museale, descritta minuziosamente nei suo aspetti stilistici, allora in questo modo si esprimerà il valore espositivo. La riproducibilità dell’arte ha sicuramente segnato questo rivoluzionario passaggio da valore culturale a un valore espositivo. Tuttavia Benjamin non si ferma a questa riflessione, ma va ben oltre. Leggendo il seguente brano tratto da L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, risulterà chiaro come il valore espositivo sia l’anticamera ed il presupposto per un nuovo valore ed un diverso uso dell’arte: il valore politico.

“Così come nelle età primitive, attraverso il peso assoluto del suo valore culturale, l’opera d’arte era diventato uno strumento della magia (…) oggi, attraverso il valore assoluto assunto dal suo valore di esponibilità, l’opera d’arte diventa una formazione con funzioni completamente nuove (…)”. Queste nuove funzioni corrispondono al valore d’uso politico. Ecco che il valore espositivo, dopo aver superato quello culturale, viene a sua volta superato da quello politico, su cui si fonda l’estetizzazione dell’arte.

A questo punto non resta che rispondere all’interrogativo fondante quest’analisi: può esistere l’arte autentica nella società industriale di massa?

Benjamin ritiene che la riproducibilità dell’arte, oltre ad aver messo in risalto il valore espositivo dell’arte (prima nemmeno definibile come tale, ma attinente alla dimensione sacrale e religiosa), permette la fruizione delle opere d’arte ad un pubblico vastissimo: l’intera società massificata.

Da un lato le opere del passato possono essere rese disponibili quasi a tutti, quindi il carattere della fruizione dell’arte viene alterato. Ma allo stesso tempo lo sviluppo tecnologico deve permettere a quella stessa massa la possibilità di creare nuove forme d’arte. L’avvento tecnologico ha quindi prodotto vantaggi creando nuove condizioni tali da aprire l’arte al grande pubblico. Benjamin quindi non solo ritiene che sia possibile l’espressione dell’arte autentica nella società di massa, ma ritiene che sia un’ottima soluzione. Fondamentale in questo contesto è la dialettica che si deve creare tra l’atteggiamento critico da un lato e il godimento nell’incontro con l’arte dall’altro.

Queste riflessioni crearono motivi di forti divergenze tra Benjamin e Adorno. Quest’ultimo era su posizioni opposte: a suo avviso l’arte doveva essere complessa, difficile, ermetica, elitaria, non mercificabile, non fruibile dalle grandi masse e non basata sul godimento estetico.

Il cinema è per Benjamin la principale arte di massa. Nei film, parte del pubblico vive un momento di assoluto godimento estetico, altri lo vivono come semplice distrazione ed alcuni lo interpretano come un momento di critica. La modalità di ricezione del cinema in particolare – ma dell’arte di massa più in generale – si presenta in forme più distratte, meno attente, meno soggette al “rapimento estetico”. Questo non significa che non sia possibile l’espressione di momenti critici importanti. Notare come in questo passaggio Benjamin risenta delle teorie di Brecht sul giudizio critico che si presenta nello stesso momento della fruizione e non in un momento successivo. “Anche colui che è distratto – scrive Benjamin – può abituarsi. Il fatto di essere in grado di assolvere certi compiti anche nella distrazione dimostra innanzitutto che per l’individuo in questione è diventata una abitudine assolverli. Attraverso la distrazione, qual’è offerta dall’arte, si può controllare di sottomano in che misura l’appercezione è in grado di assolvere compiti nuovi . Poiché del resto il singolo sarà sempre portato a sottrarsi da questi compiti, l’arte affronterà quello più difficile e più importante quando riuscirà a mobilitare le masse. Attualmente essa fa questo attraverso il cinema (..) Il cinema svaluta il valore culturale non soltanto inducendo il pubblico a un atteggiamento valutativo, ma anche per il fatto che al cinema l’atteggiamento valutativo non implica attenzione. Il pubblico è un esaminatore, ma un esaminatore distratto”.

Per concludere Benjamin auspica l’utilizzabilità dell’arte da parte delle forze comuniste, al fine di contrastare attraverso la “politicizzazione dell’arte”, “l’estetizzazione” della stessa compiuta dai regimi fascisti. Sicuramente le condizioni dell’arte di massa possono favorire questo fenomeno, tanto auspicato da Brecht.

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