Gruppo di famiglia in un inferno: la Famiglia nel Cinema italiano contemporaneo
Il primo autore italiano capace di analizzare efficacemente i rapporti che intercorrono tra gruppi di amici e congiunti, è stato, a mio parere, Ettore Scola.
Già in C’eravamo tanto amati (1974), un piccolo nucleo di tre amici è ritratto, attraverso gli anni, con uno sguardo che indugia con forza sui legami dettati dalla contingenza, dal caso ma anche dalla volontà di tenersi reciprocamente (ciò non vale per il personaggio interpretato da Vittorio Gassman).
Sarà soltanto però con i successivi La terrazza (1980) e La famiglia (1986), che Scola svilupperà sino in fondo la capacità di dipingere un affresco corale, dove voci e situazioni dei personaggi sono intrecciate con magistrale perizia e profondità. Quella stessa profondità, nel descrivere i legami amorosi subitanei e imprevisti, che è il tratto dominante in Una giornata particolare (1977), forse il suo film più riuscito, Scola la traspone, nei due film degli anni Ottanta, ad un gruppo allargato.
Amici e congiunti si è detto, allora perché non comprendere in questo percorso opere come Amici miei (Mario Monicelli, 1975) o altre commedie contenenti situazioni familiari? Semplice. In questo breve scritto si cercherà di ripercorrere la parabola che ha generato opere recenti come Riprendimi (Anna Negri, 2008), Un giorno perfetto (Ferzan Ozpetek, 2008), La nostra vita (Daniele Lucchetti, 2010), Cosa voglio di più (Silvio Soldini, 2010). Opere dove la famiglia appare allo sbando, sopraffatta dal reale, da quella stessa contingenza che in Scola generava legami profondi, anche se foriera di crisi come nelle quattro opere sopraccitate.
A dire il vero c’è stato un periodo – la fine degli anni Ottanta – dove più della famiglia contava il gruppo di amici che si ritrovano assieme e rievocano il passato. Parodiati da Nanni Moretti, in una celebre scena di Caro diario (1993), questi film – Marrakech Express (Gabriele Salvatores, 1989), Italia-Germania 4 a 3 (Andrea Barzini, 1990), solo per citarne un paio – hanno all’incirca gli stessi attori e sembrano tutti assai in debito con The Big Chill (Il grande freddo, Lawrence Kasdan, 1983), di cui riprendono situazioni e nostalgie.
Il nuovo secolo però ha riportato in auge la famiglia, divenuta oramai “allargata” e multietnica. Già in Mignon è partita (Francesca Archibugi, 1988), si erano avute le prime avvisaglie. Sarà Gabriele Muccino con L’ultimo bacio (2000), a fondere assieme le istanze rappresentate dal gruppo di amici, con quelle del nucleo familiare. E saranno Ferzan Ozpetek (Le fate ignoranti, 2001; Un giorno perfetto, 2008) e soprattutto Cristina Comencini (Il più bel giorno della mia vita, 2002), ad introdurre il dramma, il senso dello sfacelo – visto oramai come inevitabile e del tutto normale – nella famiglia, quasi che l’aumentata complessità del reale generi soltanto caos e confusione dei ruoli.
Certo, in queste opere vi è un’indubbia ricchezza e profondità dei sentimenti, rispetto ad altre che hanno segnato un’epoca (penso soprattutto a I pugni in tasca, 1965, Marco Bellocchio), tuttavia la parabola non può che volgere verso il tragico, l’irreparabile, anche se mai in modo definitivo e con qualche barlume che induce alla speranza. Rappresentativo, in questo senso, il percorso di un autore come Ozpetek, che passa dal rapporto incompiuto fra un uomo e una donna (Le fate ignoranti), anche se con prospettive future, alla tragedia cupa della violenza coniugale (Un giorno perfetto), passando attraverso il dolore della perdita (La finestra di fronte, 2003), venato di fiducia nella forza della vita (Saturno contro, 2007).
Oramai appare certo: la famiglia, anche allargata, non regge più il ritmo vertiginoso del reale. La possibilità di appagare i propri desideri – pur tra sensi di colpa – è forte, individualismo, consumismo sfrenato e nuove povertà fanno il resto. Ecco allora le opere di Lucchetti e Soldini, a chiusura del percorso sin qui ipotizzato. Nella prima (La nostra vita), un giovane capomastro perde la moglie e tenta di mettersi in proprio con scarso successo, affrontando disagi e difficoltà che appaiono insormontabili. Alla fine però potrà ricominciare, anche se ciò che ha perso sarà rimpiazzato malamente, in modo davvero realistico. L’opera di Soldini (Cosa voglio di più), è capace di mostrare l’adulterio sotto una nuova luce: è impossibile sfuggire al carico di responsabilità – qui viste quasi come problemi – che ciascuno ha all’interno della famiglia.
In entrambe il nucleo familiare è fatto a pezzi e poi ricucito. Si cerca di continuare la propria vita pur nel disagio che regna sovrano, non c’è più quella solidità di fondo che accompagnava, pur nelle difficoltà, le generazioni (cfr. La famiglia). Tutto è precario e troppo mobile. Non è un caso se nel finale del film di Soldini risuona la canzone Que sera sera: il futuro non è mai stato così incerto.
L’analisi condotta sin qui è soltanto superficiale. Spesso i film rivelano con gli anni significati più profondi, ed è soltanto allora che appaiono come specchio dei tempi. Inoltre ci sono molte altre opere che avrei dovuto considerare, ma non ho la pretesa di aver liquidato con poche righe un argomento così complesso. Ho voluto soltanto condividere qualche riflessione, nella speranza di accrescere l’interesse per il cinema italiano.
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