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Epicuro

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Etica Epicurea

La riflessione morale elaborata da Epicuro costituisce, assieme a quella scaturita dalla scuola filosofica stoica e dai meno organizzati movimenti scettici e cinici, una delle gemme preziose del pensiero ellenistico. Il progetto politico di Alessandro Magno ( 356 – 323 a.C ) aveva portato sconvolgimenti così grandi nella società greca, da provocare la fine di quel che viene denominato dagli storici periodo classico e dar inizio a quello ellenistico. Tale periodo storico interessò il mondo greco nell’ arco temporale che va all’ incirca dal 323 al 31 a.C. e si caratterizzò per l’interazione e la fusione tra la cultura greca e quelle euroasiatiche, mediterranee e orientali. Grandi cambiamenti riguardarono le polis, i veri centri filosofici del periodo classico, che decaddero sempre di più perdendo autonomia e peso politico.

Epicuro

Questo provocò un marcato allontanamento della filosofia dai problemi politici, il rapporto con la società iniziò ad affievolirsi, vennero fondate delle scuole filosofiche che assunsero il ruolo di nuovi centri di educazione e ricerca. L’istituzionalizzazione della filosofia portò ad un suo marcato irrigidimento in strutture elitarie. Il Giardino e la Stoà furono le due scuole fondate ad Atene da Epicuro e da Zenone di Cizio e rappresentano i massimi esempi di scuola ellenistica.

Nel Giardino e nella Stoà i vari allievi potevano studiare e riflettere su quanto veniva loro insegnato relativamente alle tre grandi discipline della fisica, logica e dell’etica. Relativamente al pensiero etico di Epicuro purtroppo rimane ben poco, essenzialmente la Lettera a Meneceo e aforismi frammentari. Risulta quindi difficile avere uno sguardo ampio su questo tema, ma grazie al testo epistolare ed ai vari frammenti emerge un pensiero davvero affascinante.

Epicuro sviluppò una visione terapeutica della filosofia. Essa doveva servire per liberare l’uomo dalla sofferenza che inevitabilmente la vita porta con sé. Il filosofo come un medico doveva saper affrontare le cause della sofferenza, individuate nelle passioni non controllate e nelle paura che insidiano l’uomo. Le paure descritte furono tre: Paura degli Dei, della morte e del dolore. Nella lettera a Meneceo vengono affrontate una ad una.

Riguardo alla paura degli Dei e delle loro punizioni si legge che essendo gli Dei perfetti non possono interessarsi delle problematiche umane verso le quali son assolutamente indifferenti. Il ragionamento compiuto su questo punto viene scandito secondo alcuni punti ben precisi. Si potrebbe pensare che gli Dei non vogliano il male ma non possano evitarlo, ma questo porterebbe a ritenere le divinità buone ma impotenti e questo non può essere possibile per Esseri perfetti. Gli Dei non possono ne desiderano evitare il male, in questo caso alle divinità verrebbe attribuita oltre all’ impotenza la malvagità, e questo non può essere a maggior ragione concepibile. Altra possibilità è quella di ritenere gli Dei capaci ma non intenzionati a evitare il compiersi del male, in sostanza essi sarebbero malvagi ma verrebbe riconosciuta la loro potenza. Scartata anche questa ipotesi per via dell’ impossibilità di ritenere cattivi gli Dei, Epicuro formula la conclusione del ragionamento: Gli Dei possono evitare il male e vogliono farlo, ma essendo perfetti non si occupano delle vicende umane e restano nella loro cristallina perfezione. La paura degli Dei sarebbe unicamente un ingiustificato timore proprio del volgo, non istruito alla filosofia.

Per quanto riguarda la paura della morte è utile leggere quando scritto nella Lettera a Meneceo: “Il più terribile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo più. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non ci sono più”. Per capire meglio questo punto è utile ricordare che secondo Epicuro l’anima sarebbe composta da particelle mobili le quali si disperderebbero nel momento della morte. L’ esistenza del corpo e dell’ anima verrebbero meno e per questo non si deve temere una sensazione dolorosa nel momento della morte.

Infine resta il timore del dolore. Per quanto concerne questo timore Epicuro rassicura che non lo si deve temere in quanto se il dolore è lieve è sopportabile, se è acuto attanaglia per poco tempo e se è molto forte facilmente conduce alla morte, che è già stata esaminata anche sotto il profilo del dolore provato nel momento del trapasso.

Epicuro notò come dopo aver dissipato i tre grandi timori che preoccupano l’uomo, non si potesse non procedere costruendo un ‘ etica basata sul superamento di un altro grande problema esistenziale: l’assenza del piacere. Sempre nella Lettera a Meneceo si trova questo passo che permette di comprendere quanto fosse importante per il filosofo la felicità: “Meditare bisogna su ciò che procura la felicità, poiché invero se essa c’è abbiamo tutto, se essa non c’è facciamo tutto per possederla”. La felicità consiste nel piacere, termine imprescindibile per ogni valutazione etica. Il piacere viene definito come il ” principio e termine estremo della estremo della vita felice”. Questo poiché ogni uomo si allontana dal dolore e tende al piacere. Visto che il felicità coincide con il piacere e l’uomo aspira alla felicità, la filosofia nella sua visione terapeutica viene indicata come un quadrifarmaco: essa dissipa le tra grandi paure del genere umano e lo conduce al piacere. Si delinea così una visione strumentale della filosofia al raggiungimento del piacere, quindi della felicità.

Ma come si può raggiunge il piacere? Esso viene distinto da Epicuro in due grandi tipologie: il piacere dinamico e quello stabile. Il primo riguarda la letizia, la gioia momentanea, passeggera, mente il secondo è il piacere da ricercare per poter coronare l’aspirazione alla felicità. Il piacere stabile si ha nell’ assenza di dolore. Esso apre le porte all’Atarassia (assenza di turbamento) ed alla Aponia (assenza di dolore). L’Aponia è riferita ai piaceri del corpo, mentre l’Atarassia a quelli dell’anima. Non esiste una superiorità dei piaceri del corpo su quelli dell’anima o viceversa. Entrambi sono indispensabili per realizzare la felicità.

Come può l’uomo raggiungere l’Aponia e l’Atarassia e quindi perseguire il piacere stabile? Epicuro crede che sia indispensabile avvalersi della virtù della saggezza (phronesis). Essa permette di distinguere i bisogni da perseguire da quelli da evitare al fine di essere felici. Ecco che si delineano tre tipologie di bisogni accuratamente suddivisi:

  • Bisogni naturali necessari;
  • Bisogni naturali non necessari;
  • Bisogni non naturali e non necessari;

I bisogni naturali necessari devono essere soddisfatti per poter vivere e sono per es. Bere e mangiare. Epicuro crede che essi debbano sempre essere soddisfatti sia per mantenere in salute il corpo, sia per la tranquillità che donano.

I bisogni naturali non necessari possono non essere soddisfatti senza compromettere la vita di un uomo e sono per es. mangiare in abbondanza o cibarsi di prodotti pregiati, bere bevande molto curate e gustose, ecc. Secondo Epicuro questi bisogni creano un forte turbamento e quindi vanno evitati.

Infine i bisogni non naturali e non necessari sono derivati dalle società, degli uomini che ambiscono alla ricchezza, al lusso, alla bellezza, al potere. Questi bisogni sono illusori e allontanano dalla vera felicità.

Grazie alla saggezza l’uomo può capire le differenze tra i tipi di piacere che può perseguire, tra le varie tipologie di bisogni che può soddisfare e decidere quale sono migliori per il suo fine: la felicità. Epicuro sostiene la necessità di soddisfare unicamente i primi, respingendo altre forme di bisogni, che allontanano dal piacere stabile.

Sempre la saggezza permette di compiere un calcolo razionale del piacere. Posto davanti ad una scelta l’uomo deve saper calcolare attentamente i costi in termini di dolore e di sacrifici e le possibilità di seguire il piacere. Questo calcolo matematico deve essere impostato anche a lungo termine poiché spesso è meglio sopportare un dolore momentaneo e poi conquistare un piacere duraturo piuttosto che il contrario.

Il calcolo del piacere ha anche la funzione di abituare l’essere umano a non cadere nella schiavitù dei desideri, a saper evitare i piaceri effimeri e pericolosi, a saper controllare le passioni, a gestire le emozioni ed a capire i sentimenti.

Epicuro_2Ancora una volta le parole di Epicuro possono chiarire la problematica: “Quando dunque diciamo che il piacere è il bene completo e perfetto non intendiamo i piaceri dissoluti o quelli delle crapule, come credono alcuni che ignorano o non condividono o interpretano male la nostra dottrina, ma il non aver dolore nel corpo né turbamento nell’ anima. Poiché non banchetti e feste continue, né godersi i fanciulli o le donne, né pesci e tutto quanto offre una lauta mensa danno vita felice, ma saggio calcolo che indaghi le cause di ogni atto di scelta e di rifiuto, che scacci le false opinioni dalle quali nasce quel grande turbamento che prende le anime”.

In definitiva Epicuro individua nella ricerca dell’ imperturbabilità, nella serenità, nel soddisfacimento dei bisogni necessari a vivere, la strada per la felicità. Quel che si delinea è un uomo ripiegato su se stesso, che si disinteressa dei problemi sociali e politici, ma mira a raggiungere una propria felicità. Non a caso nella filosofia morale epicurea emergono due elementi connaturanti la filosofia ellenistica:

  1. primato della morale;
  2. importanza del singolo individuo (vero centro di interesse della filosofia).

Tutte le interpretazioni e le critiche tendenti a rappresentare la teoria edonistica di Epicuro come dissolutamente depravata, legata ad un edonismo materialista non sembrano cogliere in profondità il vero messaggio epicureo. Nonostante questa va riconosciuto che buona parte dei piaceri indicati dal filosofo son di natura sensibile, ma questo elemento va collocato sia entro la necessità di valutare i bisogni da soddisfare e quelli da evitare, sia rispetto alla capitale importanza rivestita dall’ aponia e dell’ atarassia.

Un aspetto che rende interessante il pensiero epicureo è il rapporto esistente tra la virtù e la felicità. Epicuro sostenne l’impossibilità di vivere felicemente senza farlo saggiamente. L’impossibilità di vivere giustamente, saggiamente e perseguendo il bene senza vivere felicemente. La connessione tra felicità e virtù è quindi molto forte: non si può essere virtuosi senza essere felici. La felicità si realizza nell’ assenza di dolore e nel piacere stabile. Solo la virtù della saggezza permette quanto necessario alla felicità in quanto solo la saggezza porta l’uomo ad allontanare ogni fonte di inquietudine, turbamento e dolore.

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