Dachau
Questa è una storia che non andrebbe raccontata.
Perchè non sarebbe mai dovuta accadere.
Ci sono luoghi, però, che andrebbero visitati almeno una volta nella vita.
La cittadina di Dachau si trova nei pressi di Monaco di Baviera. Entrando in città si ha esattamente la sensazione che ci si aspetta da un paese bavarese. Colline verdi, aiuole immacolate e multicolori, pulizia e ordine ovunque.
Eppure poco più di 70 anni fa, per molti, questo paesaggio fu sinonimo di terrore e morte.
Una volta nel campo di concentramento, si ha da subito una brutta sensazione. Quella di essere in un luogo dove la vita umana era uno scherzo, un gioco, qualcosa da sminuire. E come tale non aveva nessuna importanza.
La scritta sul cancello Arbeit macht frei, “il lavoro vi renderà liberi”, non è nient’altro che una presa in giro.
In un posto pensato per sfinire moralmente, psicologicamente e fisicamente migliaia di persone tramite lavori disumani e insensati per poi ucciderli miseramente, quella scritta è solo un gioco sadico, che purtroppo non lasciava dubbi su quello che poteva essere il destino di chi varcava quel cancello da prigioniero: la morte.
In quella che una volta era la palazzina che ospitava gli ufficiali e che serviva per il censire i nuovi prigionieri, oggi trova posto un museo che è difficile definire diversamente se non “degli orrori”.
Le punizioni raccontate dai pannelli non avevano niente a che fare con una qualsiasi forma di educazione o giustizia. Era solo e unicamente un tentativo di ridurre a nulla l’autostima e la forza delle persone che stavano per essere ammassate nelle baracche che fungevano da dormitorio.
Al loro arrivo gli internati venivano accolti con 25 bastonate di benvenuto. Le guardie poi dicevano esplicitamente loro che non avevano diritti, né onore né difesa. Da quel momento in poi bastava un niente per ricevere un certo numero di colpi sulle natiche nude con un bastone di legno da parte di un ufficiale nazista.
Il prigioniero aveva il compito di contare a voce alta i colpi ricevuti. E se per colpa del dolore perdeva il conto, si ricominciava da capo.
Alcuni venivano usati come cavie umane per qualunque tipo di esperimento pseudo-scientifico passasse per la testa ai dottori del campo. Persone innocenti sono morte congelate dopo essere state lasciate per giorni immerse in vasche piene di ghiaccio. Altri venivano lasciati cadere da grandi altezze per simulare i danni causati ai soldati che precipitavano dagli aerei o con i paracaduti. Ad altri ancora, veniva applicata una piccola gabbia sulla gamba. Una gabbia che conteneva zanzare infettate dalla malaria. Lo scopo ultimo era quello di testare nuovi farmaci sui prigionieri che contraevano la malattia. I pochi che sopravvivevano rimanevano storpi per sempre.
Tra il museo e lo spiazzo delle baracche si trovano oggi una serie di monumenti e opere che ricordano la morte e le sofferenze di tutti quelli che che furono deportati in questo campo di prigionia. Uno in particolare rende onore a tutte le categorie di persone che lì persero la vita e spesso la dignità.
Un reticolato di triangoli, uno per ogni colore che identificava il motivo per cui si veniva imprigionati:
- Triangolo nero – Asociali
- Triangolo verde – Criminali comuni
- Triangolo rosa – Omosessuali o bisessuali
- Triangolo blu – Immigranti (lavoratori forzati stranieri)
- Triangolo rosso – Prigionieri politici
- Triangolo viola – Testimoni di Geova
Questi ultimi avevano la possibilità di essere liberati firmando una dichiarazione in cui affermavano di abiurare la loro fede. Quasi nessuno nei 7 anni di guerra usufruì di questa soluzione. Nel 1938, nel nuovo stadio di Norimberga gremito in ogni ordine di posto e ricolmo di simboli e ideologia nazista, Hitler dichiarò riguardo a quelli che ai tempi venivano chiamati Studenti Biblici: “Questa nemica della Grande Germania, questa genia degli Studenti Biblici Internazionali, sarà sterminata in Germania!”
Tra i prigionieri di Dachau c’era anche Martin Niemöller, famoso per essere il “prigioniero personale di Hitler“. Un prete protestante che non smise di accusare Hitler per tutte le nefandezze che andava perpetrando in tutta Europa, e che per questo si attirò l’odio del dittatore che si occupò in prima persona di internarlo.
A Dachau, non esisteva umanità o pietà. I prigionieri venivano accatastati come animali in baracche prive di ogni comfort, senza riscaldamento, senza le minime condizioni igieniche. In un campo costruito per contenere 6000 persone arrivarono a trovarne posto anche 30000. Oggi si possono vedere e visitare solo 2 delle 34 baracche. L’immensa spianata non toglie nulla al senso di disagio e impotenza che l’immensa folla di detenuti doveva provare.
Invito tutti voi a fare un piccolo esperimento. Cercate di immaginare con calma e a mente fredda, a un modo perfuggire da questa oppressione infinita. Tentate di immedesimarvi in un prigioniero che non si arrende, che vuole fuggire.
Dovete però sapere, per onestà, alcune cose che caratterizzavano il Campo. Ai bordi dell’area dedicata alle baracche c’era un piccola striscia d’erba. Vi sarebbe stato vietato calpestare quell’erba, pena la fucilazione immediata e senza preavviso. Forse sareste comunque riusciti a raggiungere l’erba e magari anche a oltrepassare il fossato profondo 2 metri prima che le guardie dall’alto delle loro torrette di vigilanza vi sparassero. Forse con un guizzo avreste potuto raggiungere e superare il tappeto di filo spinato che per la lunghezza di un metro precedeva l’intero perimetro.
In quel momento vi sareste trovati di fronte la recinzione di filo spinato alta 2 metri ed elettrificata. Con un ulteriore volo di fantasia avreste potuto superare questo ostacolo e saltare dall’altra parte. Ora non vi sarebbe rimasto altro da fare, se non attraversare il fiumicciatolo che circonda il Campo e il muro di cinta in cemento armato alto 3 metri. A quel punto la vostra vita sarebbe dipesa solo dall’incontrare o meno una delle 1500 guardie che controllavano da dentro e da fuori le mura. In definitiva, non avreste avuto alcuna possibilità di uscire vivi da quell’inferno. Mai.
Questo era quello che desideravano quegli aguzzini. Rendere chiaro nella vostra mente, che non esisteva speranza. Annientare ogni possibilità residua che il vostro cuore poteva immaginare. Spezzare le redini della forza che la disperazione sa regalare. Non c’erano punti deboli. Non c’era speranza. Nessuno poteva scappare. C’era solo lavoro, malattia, botte e umiliazione. E per ultimo la morte.
Morte che se non soppraggiungeva per malattia, esperimenti medici, tentativo di fuga, rissa con altri detenuti, divertimento di qualche ufficiale su di giri, lavoro massacrante, denutrizione o depressione arrivava tramite i metodi che meglio definiscono e delineano la perfidia nazista: i forni crematori e le camere a gas.
Un elegante costruzione in mattoni rossi adagiata in un bosco ombroso. I corpi dei cadaveri non ricevevano nessuna sepultura ma venivano gettati nelle fiamme come rami secchi. Quando la liberazione si fece più vicina lo “smaltimento” dei detenuti passò da questi forni.Intere famiglie morirono gassate in angusti e anonimi stanzoni sigillati. Persone senza forza e senza più nessuna possibilità di ribellione che venivano mandati alla morte, come fosse uno scherzo. Non sapevano neanche della fine che stavano per fare. Non avrebbero comunque potuto ribellarsi, ma non gli fu neanche dato il diritto di sapere cosa stava per accadergli. L’illusione di una doccia calda, di un piccolo sollievo dopo settimane, mesi, forse anni di sudiciume veniva soffiata come il gas che li uccideva. Come la cenere dei loro corpi che veniva trasportata via dal vento.
Dachau fu il primo campo di concentramento nazista ad essere aperto nel 1933 e il penultimo ad essere chiuso nell’aprile del 1945. In 12 anni di attività, passarono per i suoi cancelli più di 200000 persone. 32000 non ne uscirono mai più.
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